L’ho fatta arrabbiare solo due volte, in 17 minuti, e si può dire che è andata bene, visto che lei mi osservava seria e guardinga. È successo quando le ho chiesto se il film ha una forte componente autobiografica e poi quando abbiamo abbiamo parlato di questioni produttive (“Non mi va di parlare di soldi, sono una cosa sporca”).
Siamo alla spiaggia del Gray d’Albion, ed è la giornata più piovosa del Festival. Oggi viene presentato Incompresa, terzo film da regista di Asia Argento, in concorso nella sezione Un Certain Regard. È la storia di Aria (Giulia Salerno), una bambina figlia di un divo del cinema (Gabriel Garko) e di una pianista (Charlotte Gainsbourg), ambientata negli anni ’80. Aria vive con i due genitori, perennemente in lite l’uno con l’altro, e le due sorellastre, eredità di precedenti matrimoni. Quando la coppia si separa, Aria si ritrova ad essere rimbalzata tra la casa del papà e quella della mamma, talvolta rifiutata da entrambi e costretta a rifugiarsi in strada, in compagnia di un gatto nero.
Considerato il nome della giovane protagonista e la storia personale di Asia, figlia anch’essa di due artisti (il regista Dario e l’attrice Daria Nicolodi), oltre che nipote di una pianista, è difficile non pensare al film come a un riflesso delle sue esperienze personali. Eppure Asia è molto ferma su questo punto, e interrompe la mia prima domanda per dire: «Questo non è un film autobiografico. E allo stesso tempo tutta l’arte è autobiografica, come la perla è l’autobiografia dell’ostrica (sic, NdR). È un film personale ma non terapeutico. Se avessi voluto fare un film sulla mia famiglia avrei fatto un documentario. Mi sembra riduttivo e anche un po’ morboso parlare dei fatti miei. Parliamo di cinema».
Qui si inserisce una collega che insiste sul punto e Asia sbotta: «Agli altri registi andate e chiedere di mamma e papà? A Wim Wenders lo chiedete? E allora non chiedetelo nemmeno a me. Next question (sic, NdR)».
L’immagine ha un formato quasi quadrato e un trattamento fotografico molto particolare.
«L’idea era quella di richiamare l’immagine sbiadita delle Polaroid, come i ricordi che cerchiamo di mantenere e poi modifichiamo a seconda delle nostre esigenze, per salvare il presente. Abbiamo fatto una ricerca che ha coinvolto assieme fotografia, costumi e scenografie, per riprodurre questa sensazione e gli anni ’80. Anche se non mi interessava fare un vero e proprio film in costume. Non volevo ad esempio quelle felpe finte che spesso sono associate a quel periodo, e che ti portano immediatamente fuori dal film, volevo lavorare sulla verità di quello che raccontavo. La realtà di un periodo in cui la quotidianità ancora non era inquinata… anche se non voglio necessariamente usare un termine negativo… dai social media e dai giochi elettronici. La vita era più “diretta”».
Trovi che i bambini siano più incompresi oggi o che lo fossero di più in quegli anni?
«AI miei tempi i bambini erano meno coinvolti, se si usciva a cena – ad esempio – dovevano starsene zitti. Io del loro mondo, oggi, ho un visione particolare, visto che vivo praticamente solo con i miei bambini e i loro amici, fatta eccezione per un amico di 80 anni. Quindi non so come funzioni per gli altri. A me interessa raccontarli. Succedeva nel mio ultimo film, succede in questo, e succederà nel prossimo, in cui si parlerà di adolescenti. È un mondo che capisco molto bene, anche se da piccola trovavo i miei coetanei ridicoli, mi piaceva lavorare con i miei genitori e mi trovavo bene con i loro amici adulti, mi piaceva conversare con loro. Ero una rompicoglioni, ero bruttina, rachitica, ma avevo un’intelligenza fuori dalla norma, e lo sapevo. Avevo il cervello che andava “a palla de fuego” (sic, NdR). E quindi lo sfruttavo per avere attenzioni. Da quando invece sono diventata adulta non so perché ma mi trovo meglio con i bambini. Forse perché l’infanzia che non ho vissuto la vivo ora, o forse perché sono riuscita a salvare quell’innocenza dentro di me».
Gabriel Garko è co-produttore del film: mi ha detto di non aver voluto essere pagato, e prenderà invece una percentuale degli incassi. Anche Charlotte Gainsbourg ha fatto la stessa scelta?
«Non mi va di parlare di soldi, sono una cosa sporca, parlane con i produttori. Posso dirti che non è stato facile mettere assieme questo film. Non abbiamo avuto il sostegno del Ministero, il film non è considerato di interesse culturale. E noi siamo fieri anche di essere incompresi in quel senso».
L’intervista completa sul numero di Best Movie di luglio.
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