In mattinata sono state presentate alla stampa alcune sequenze in anteprima di Avatar – La via dell’acqua, il sequel del film campione d’incassi diretto da James Cameron che nel 2009 aveva portato sul grande schermo, con una tecnologia 3D che mai fino a quel momento aveva regalato al pubblico un’esperienza tanto immersiva, il bioluminescente mondo di Pandora e le vicende dell’ex marine Jake Sully.
Non ci è permesso parlare nel dettaglio delle scene che sono state mostrate o tantomeno esprimere giudizi di sorta. Ma possiamo raccontarvi quanto rivelatoci dal produttore Jon Landau, che ha presentato le sequenze – in collegamento video dalla Nuova Zelanda – rispondendo ad alcune domande sul film che debutterà nelle sale il 14 dicembre. Ben tredici anni dopo il primo capitolo della saga.
Innanzitutto è bene precisare, come lo stesso Landau ha premesso all’inizio del suo intervento, che la storia al centro di Avatar – La via dell’acqua avrà come tema cardine la famiglia. «James Cameron inserisce spesso nelle sue storie dei temi universali e non c’è tema più universale della famiglia. I Sully sono il cuore di tutti i film di Avatar. Ma la famiglia non è solamente quella biologica, è anche quella che si sceglie, quella in cui si percepisce un senso di comunità. La storia non sarà raccontata solo dal punto di vista dei genitori, ma anche da quello dei figli teenager, che combattono per trovare la loro identità, il loro posto nel mondo, il loro ruolo.»
Jon Landau ha usato il plurale nel parlare dei sequel di Avatar. Sono infatti quattro i progetti al momento esistenti. Quattro diverse storie che pur raccontando eventi autoconclusivi – nel primo capitolo il fulcro era la battaglia contro il colonnello Quaritch – sono tasselli di un unico macrocosmo dedicato al cammino di Jake Sully nella comunità dei Na’vi.
I film sono stati realizzati in contemporanea; una scelta produttivamente insolita, ma che si basa su ragioni in fin dei conti semplicissime. «Abbiamo dei bambini al centro della storia e proseguire con le riprese a distanza di anni non ci avrebbe permesso di mantenere di volta in volta la stessa età.»
Quella di realizzare parallelamente quattro film è stata la più grande sfida affrontata dalla produzione: prima di iniziare il vero e proprio sviluppo, gli autori hanno dovuto ultimare contemporaneamente tutti gli script. Non sorprende dunque che siano stati necessari tredici anni per il ritorno del franchise sul grande schermo. Un salto temporale che se da un lato ha rischiato di creare disaffezione da parte del pubblico verso i protagonisti di Avatar, dall’altro ha consentito alla tecnologia 3D di progredire notevolmente permettendo alla produzione di lavorare ancora una volta su un’immagine studiata appositamente per dare vita – nel senso più letterale del termine – ai luoghi inesplorati di Pandora.
La seconda sfida più grande, prosegue Landau, è stata proprio quella affrontata nella realizzazione delle sequenze subacquee. «Per permettere agli attori di offrire delle performance realistiche abbiamo dovuto costruire una vasca da due milioni di litri. Ognuno di loro si è allenato a trattenere il respiro per avere la stessa espressività che avrebbe avuto fuori dall’acqua.»
L’esperienza cinematografica offerta dal 3D, chiarisce immediatamente il produttore, sarà ancora una volta l’anima di Avatar. Il viaggio che il franchise di James Cameron si propone di regalare al pubblico, nonostante l’industria sia stata fortemente influenzata dalla pandemia, non teme la concorrenza dell’home video: si tratta di un mondo concepito per la sala e in grado di trovare la sua massima espressione solo sul grande schermo. E gli spettatori lo sanno.
«Il New York Times ha scritto che l’intrattenimento fruibile da casa a prezzi modici avrebbe portato alla morte del cinema in sala. Beh, lo ha scritto nel 1983. La pandemia è ancora con noi, ma la gente continua a cercare l’esperienza cinematografica. Abbiamo visto che proponendo qualcosa di diverso, le persone vanno ancora al cinema. […] Il 3D non rende buono un film mediocre. Il 3D amplifica tutto. Se un film è buono, allora sarà ancora più buono. Se è mediocre, sarà ancora più mediocre. Se è brutto, allora sarà terribile.»
Oltre alla famiglia, al centro di Avatar – La via dell’acqua ci sarà un tema sempre più caro alle nuove generazioni: l’ambiente, inteso come una comunione tra tutte le forme di vita che coabitano il pianeta. Un leitmotiv già presente nel primo film e ancora più marcato nel sequel. «Avatar iniziava e finiva con la stessa immagine: Jake Sully che apre gli occhi. Io spero che lo faccia anche il pubblico. Spero che la gente capisca che ogni azione ha un impatto sugli altri e sul mondo che ci circonda. […] Spero che le persone escano dalla sala e guardino il pianeta con altri occhi, rendendosi conto di come siamo tutti inevitabilmente connessi gli uni agli altri».
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