Uno sconfinato amore. Nel nuovo film Una sconfinata giovinezza (dall’8 ottobre nelle sale) Pupi Avati torna ad un cinema di sentimenti forgiati, questa volta, da una malattia come l’Alzheimer. Chicca (Francesca Neri) e Lino (Fabrizio Bentivoglio) sono sposati da anni. Si sono sempre amati affrontando insieme anche la mancanza di figli fino a quando la sofferenza entra nella loro vita in maniera devastante: Lino, giornalista sportivo, incomincia a perdere la memoria. «Ho scritto», racconta Pupi Avati durante la conferenza stampa di presentazione del film a Roma, «la mia prima storia interamente sull’amore coniugale che si trasforma in un amore materno. Ho 72 anni e posso dire di star vivendo “la seconda parte del secondo tempo” della mia vita: quel bambino di 8, 9 anni, che pensavo di aver dimenticato, sgomita e si agita da tempo dentro di me. In più sono rimasto colpito dalla malattia di mio suocero che gli aveva dato un candore, un’innocenza che io non avevo mai visto in lui». Nel film, che inizia e finisce ricordando che parole ed eventi sono frutto dell’immaginazione, ci sono, invece, tanti ricordi del regista, «come il gioco dei ciclisti, il cane di mio padre che si chiamava Perché, il brillante trovato tra i cristalli rotti nei resti della macchina dove hanno perso la vita i miei genitori». Ricordi che nel film affiorano durante la malattia di Lino, che, però, è meno forte dell’amore che prova una moglie per il marito, che sta diventando un altro uomo: «Ho lavorato», racconta Francesca Neri, «sulla dignità di questa donna, raccontando come la maturità costruisce l’integrità nell’amore. Per me interpretare questo film è stato come vivere un piccolo viaggio d’amore, tra disagi e paure. Con Fabrizio (Bentivoglio, n.d.r) abbiamo lavorato sulla tenerezza dei nostri personaggi a tal punto che questo ha portato ad una somiglianza tra di noi». Le si affianca Bentivoglio: «Questo film potrebbe essere narrato come una favola: Chicco e Lina che si amano moltissimo ma non hanno figli. Un giorno Lino decide di tornare bambino e Chicca si trova in braccio il figlio che non ha mai avuto». Un amore raccontato anche attraverso lo sguardo candido di un uomo che, ritornato bambino, vuole trovare il suo amichetto che diceva di essere capace di resuscitare: «I bambini credono», prosegue il regista, «che un altro bambino possa resuscitare. Il cinema deve essere uno strumento capace di raccontare la magia dell’infanzia: con i miei film voglio uscire dall’asfittico mondo del cortile di sotto, nel quale gran parte del cinema italiano si agita. Nelle storie che portiamo sul grande schermo si evidenziano solo i matrimoni che falliscono, soprattutto tra i più giovani». Mentre Avati parla il suo cellulare squilla. Lui risponde e dice con naturalezza ai giornalisti in sala: «è mia moglie e vuole sapere come sta andando». Chiudendo la telefonata rilancia: «Quando la tua famiglia è preoccupata per te vuol dire che sei qualcuno per loro, che sei importante. Vivo con mia moglie da 46 anni: se vivrò insieme a lei al cinquantesimo anno di matrimonio le ho promesso di risposarla».
© RIPRODUZIONE RISERVATAAvati, “il primo film sull’amore”
Il regista ha presentato a Roma Una sconfinata giovinezza