Supereroi con superproblemi. È il paradigma con cui la Marvel ha portato avanti la sua rivoluzione nel mondo dei supereroi a fumetti, ma paradossalmente nell’era delle Fasi cinematografiche non era ancora stato approfondito del tutto. Fatta eccezione per Iron Man 3, dove Tony Stark soffriva di attacchi di panico come conseguenza della battaglia che distrusse New York alla fine del primo Avengers, gli altri tasselli dell’universo della Casa delle idee sono venuti meno all’umanizzazione dell’eroe, spesso solo accennata in superficie. In Age of Ultron, finalmente, Whedon sfrutta a pieno questa formula mettendo i Vendicatori non solo davanti a un villain magnetico, ma di fronte ai propri demoni. Così facendo, i supereroi più forti della Terra si trovano scoperti, indifesi contro avversari più pericolosi dello stesso Ultron: se stessi.
Colpa di Scarlet Witch (Elizabeth Olsen), che con i suoi poteri da streghetta (è in grado di manipolare la dimensione spazio-temporale) altera le percezioni di Iron Man e soci, che cadono in preda ad allucinazioni – tra tutte, spicca quella di Vedova Nera, che ripercorre il suo traumatico addestramento per diventare spia del KGB -. Così ci troviamo di fronte a un film che, pur non venendo meno agli ingredienti che hanno fatto la fortuna della Marvel al cinema (l’azione è ipercinetica già dall’incipit, che ci scaraventa dentro la storia con l’attacco dei protagonisti al Forte di Bard, dov’è nascosto lo scettro di Loki, difeso dall’Hydra), si addentra in una dimensione onirica che lascia spazio alle dinamiche tra i personaggi, mettendo in luce chi, come Occhio di Falco, sembrava dovesse essere giusto un comprimario. Il personaggio di Jeremy Renner è una delle grandi sorprese del sequel: è il più “normale” di tutti, protegge gelosamente la sua famiglia da favola – una moglie (Linda Cardellini), due figli con un terzo in arrivo e una casa in campagna -, facendo da collante della squadra nel momento in cui gli incubi dei suoi super-amici sembrano avere il sopravvento. E mentre Tony Stark e Steve Rogers danno vita a battibecchi dove a uscire vincitore spesso è il filantropo miliardario di Robert Downey Jr., sempre più star dello spettacolo, Hulk e Vedova Nera si ritagliano un quadretto romance che scalda il cuore e richiama quei toni da soap opera che hanno caratterizzato i fumetti Marvel sin dall’inizio.
Azione, commedia, sci-fi: gioca con i generi Whedon, partendo dal tema dell’intelligenza artificiale che trova radici nella fantascienza più classica. In questo senso, Ultron è il simbolo di un domani non proprio rassicurante per il rapporto uomo-macchina, con quest’ultima che si ribella al suo creatore, giudicandolo alla stregua di un padre-padrone: parliamo di un organismo senziente, dal volto gelido, a cui basta scansionare l’umanità pre e post-Avengers per comprendere come l’unica soluzione per la pace sia l’estinzione dell’uomo. Un cattivo squisitamente disturbato non privo di ironia, il cui piano catastrofico prevede l’evoluzione del robot da burattino a individuo superiore con una coscienza (ecco la già annunciata metafora di Pinocchio), incarnato dalla creazione di Visione, splendente come la gemma dell’infinito che porta in fronte. Era la new entry più attesa e non ha deluso le aspettative il personaggio di Paul Bettany, così come i fratelli Maximoff, orfani legati da un rapporto quasi simbiotico che hanno scelto volontariamente di sottoporsi agli esperimenti dell’Hydra diventando i “potenziati” che tutti conosciamo (convincente il Quicksilver di Aaron Taylor-Johnson, che regge a testa alta il confronto, anche perché più centrale nella storia, con quello di Evan Peters in X-Men: Giorni di un futuro passato).
Nella continuity marvelliana, Age of Ultron è più collegato con quanto verrà raccontato in Infinity War – nuova formazione degli eroi compresa – piuttosto che in Civil War, come ci si poteva aspettare alla vigilia, poiché la frattura interna al team non è poi così netta: forse si è voluto sottolineare implicitamente il passaggio di testimone tra Whedon e i fratelli Russo, che dirigeranno gli ultimi due Avengers così come Captain America 3, ma la sensazione è che Whedon sia andato a briglie sciolte in questo sequel, divertendosi a far combattere Iron Man e Hulk (il loro scontro è tra i momenti action più alti dell’intera filmografia Marvel), o a costruire le combo irresistibili tra Capitan America e Thor. Spirito ludico a parte, con questo ultimo atto (se sarà effettivamente l’ultimo) della sua carriera presso la Casa delle idee, il regista pare aver fissato una nuova direzione narrativa che i suoi successori farebbero bene a seguire. Perché agli effetti speciali si può unire anche una caratterizzazione dei personaggi di spessore, senza per forza sfociare in introspezioni di stampo nolaniano, rispettando così lo stile Marvel. Che in Age of Ultron raggiunge una completezza sinora inedita.
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