Prendere un classico della letteratura e trasformarlo in un oggetto pop su misura delle multisale. Non è necessariamente un male né un atto di blasfemia, se fatto con la necessaria gioiosità e dose d’euforia; Paul McGuigan promette spettacolo e spettacolo dà, mescolando azione, avventura, ispirazioni steampunk, ironia, romanticismo e pure evocazioni dark. Ciò che fa con il racconto di Mary Shelley, insomma, è la medesima operazione che Guy Ritchie aveva compiuto per Sherlock Holmes: Victor Frankenstein (l’inventore, non la creatura) picchia, è pervaso da testosterone, ha sempre la battuta pronta e possiede carisma da vendere.
Ma dietro la facciata di coolness, a nascondersi è il dramma di un passato tormentato che è poi il vero motore di tutto l’intreccio. Frankenstein, in sostanza, rimane un personaggio tragico, il folle genio che mette in atto il suo diabolico esperimento di assemblare un automa privo di anima non tanto per megalomania scientifica, quanto per sopperire a una lacerazione del proprio cuore, a un vuoto causato da un precedente trauma. E una delle trovate vincenti di McGuigan e degli sceneggiatori è quella di aver optato per un punto di vista esterno, quello di Igor, freak circense che ritrova la libertà proprio grazie a Victor. Il rapporto fra i due oscilla da servo-padrone a creatore-creatura, fino a una palpabile amicizia che talvolta sfiora il più tenero bromance. S’incontrano, si stringono, e litigano anche tanto, ma il legame era inevitabile: loro due sono, in pratica, dei perdenti che altro non hanno al mondo, e a distanza di anni dal bellissimo Appuntamento a Wicker Park, McGuigan si riscopre ancora una volta un emo sentimentale.
E credeteci quando vi diciamo che l’opera scorre che è una meraviglia: il regista ama il suo materiale e lo si percepisce a ogni vibrazione delle immagini, a ogni ralenti, a ogni atto di vanità carico di pathos e scintille. E quale meravigliosa gioia vedere un cast perfettamente in parte: stima a Daniel Radcliffe, che da quando ha lasciato il mondo di Harry Potter sta veramente proseguendo una bellissima carriera fatta di ruoli un po’ weird (Kill Your Darlings, Horns, l’imminente Swiss Army Man), mentre James McAvoy dondola tra i vari mood del suo personaggio con straordinario magnetismo, tanto da regalarci pure un paio d’intensissimi momenti drammacatartici da scavo al cuore.
Non male per un film che vuole essere “solamente” commerciale a tutti i costi. Non male, per un prodotto il cui target principale sono i teenager affamati di popcorn e coca cola. E per una volta che arriva nelle nostre sale un blockbuster così riuscito, sappiate tirare fuori le armi e difenderlo a spada tratta.
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