La serie Netflix Baby Reindeer ha trionfato agli Emmy Awards domenica 15 settembre, portandosi a casa quattro premi su cinque candidature. Tre sono infatti le statuette vinte da Richard Gadd come Miglior attore protagonista, sceneggiatore e produttore, mentre Jessica Gunner è stata premiata come Miglior attrice non protagonista per il ruolo di Martha. Tra le non protagoniste, inoltre, era stata candidata anche l’attrice trans messicana Nava Mau, presente alla cerimonia di consegnata degli Emmy al fianco dei suoi amici e colleghi.
Sabato 14 settembre, i giornalisti della Golden Globe Foundation avevano intervistato l’attore e commediografo scozzese Richard Gadd insieme all’attrice britannica Jessica Gunning. Un momento che ha permesso all’autore di Baby Reindeer di parlare di We Are Survivors, organizzazione che sostiene le vittime di abuso e violenza sessuale.
Q: Come è arrivato a far parte dell’organizzazione We Are Survivors?
Richard Gadd: «Nel 2016 avevo scritto uno spettacolo comico intitolato Monkey See Monkey Do sull’abuso sessuale che avevo subito e avrei poi descritto nell’episodio quattro di Baby Reindeer. Prima di allora avevo mantenuto questo segreto dentro di me per tutta la vita. Sapevo che l’arte poteva servire come catarsi, ma non avevo mai provato a utilizzarla in senso autobiografico. Fu allora che We Are Survivors mi contattò per chiedermi di diventare loro ambasciatore e aiutarli a raccogliere fondi. Ho personalmente tratto beneficio dai loro servizi e posso testimoniare il tipo di supporto che offrono».
Q: Quali sono i servizi offerti ai sopravvissuti?
R.G.: «Offrono un posto dove poter andare e parlare liberamente senza essere giudicati, perché si prova molta vergogna quando cose di questo tipo ci succedono, e la prima cosa da fare è rompere il silenzio, in un ambiente sicuro, protetto e riservato dove ci si sente a proprio agio».
Q: Fino a pochi anni fa non si parlava tanto di trauma, abuso sessuale e salute mentale, mentre adesso molti accettano di andare in terapia per superare questi problemi. Che cosa è cambiato?
R.G.: «Certamente non si considera più un tabù parlare di questi problemi. Se penso alla generazione di mio padre, tenevano tutto dentro, non parlavano dei propri sentimenti, non l’ho mai visto piangere. L’abuso sessuale è un delitto che punisce la vittima perché ci fa sentire colpevoli, anche se non è colpa nostra. Per fortuna adesso abbiamo a disposizione molti servizi sociali e associazioni caritatevoli per rompere l’isolamento e ricevere assistenza. La situazione sta velocemente migliorando».
Q: Che consigli darebbe ai giovani che come lei fanno fatica a superare questi sensi di colpa?
R.G.: «È più facile dirlo che farlo, ma bisogna accettare che queste emozioni negative sono temporanee e prima o poi passeranno, anche se ci vorrà molto tempo. Durante gli anni di lotta con la mia sessualità, mentre crescevo in un paesino della Scozia, ero molto critico di me stesso, e
questo aumentava il mio dolore, ma adesso capisco che avrei dovuto essere più comprensivo e sapermi perdonare».
Q: Che tecniche ha usato per evitare lo stress?
R.G.: «Spesso mi buttavo sul lavoro 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, oppure mi dedicavo ossessivamente a un hobby; volevo sentirmi occupato per distrarmi, ma ho poi scoperto che era controproducente. Meglio invece dedicare tempo a star fermi e pensare a noi stessi, svolgere attività piacevoli, per la autoconservazione e per recuperare la sanità mentale».
Q: Pensa che la serie Baby Reindeer abbia aiutato alcuni spettatori a superare questi problemi e accettare la propria sessualità?
R.G.: «È strano che una serie britannica così strana e idiosincratica sia diventata numero uno in paesi come il Qatar e il Libano, dove probabilmente non mi permetterebbero neanche di entrare, e che sia vista da 200 milioni di spettatori. Abbiamo ricevuto risposte da tanta gente che ci ha detto come la serie li abbia incoraggiati a parlare con la loro famiglia di quello che gli era successo. Trovo estremamente edificante che Baby Reindeer abbia avuto un impatto così positivo nel mondo, e che tanti la abbiano citata come il motivo per cui si sono messi in contatto con We Are Survivors per chiedere aiuto».
Credits: Richard Gadd © Golden Globe Foundation
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