Batman: il diamante di Tim Burton
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Batman: il diamante di Tim Burton

Il film dedicato al cavaliere oscuro del regista di Beetlejuice a oggi è l’unico che possa già definirsi un classico. e in gran parte dipende dalla sua storia produttiva unica, che ha portato, in un’epoca irripetibile, a un cinecomic altrettanto irripetibile

Batman: il diamante di Tim Burton

Il film dedicato al cavaliere oscuro del regista di Beetlejuice a oggi è l’unico che possa già definirsi un classico. e in gran parte dipende dalla sua storia produttiva unica, che ha portato, in un’epoca irripetibile, a un cinecomic altrettanto irripetibile

Nel 1989 Hollywood non è nuova a realizzare film tratti dai fumetti, in special modo da quelli di supereroi, ma il suo rapporto con i tizi in costume è di amore e odio e, soprattutto, di alterne fortune.

La Warner, proprietaria della DC Comics, in particolare, è quella che è riuscita a fare una fortuna sfruttando una grande proprietà intellettuale nata sulle pagine disegnate: Superman. Ma dopo i fasti dell’omonimo film del 1980, diretto da quel maestro di Richard Donner, e dopo il buon successo del suo sequel, il terzo e (soprattutto), il quarto capitolo dell’Uomo d’Acciaio si sono rivelati dei disastri e, per qualche tempo, di supereroi non ne vuole sentire parlare più nessuno. Tranne Jon Peters, che di comics è un grande appassionato e che da anni sta cercando di sviluppare un film sul crociato con il mantello, il cavaliere oscuro, Batman. C’è solo un problema: Jon Peters è un parrucchiere. O almeno, questo è il mestiere che lo rende popolare a Hollywood e che gli permette di conoscere Barbara Streisand e di diventare prima il suo consigliere e poi il suo compagno.

Grazie all’aiuto della divina Streisand (e a una discreta dose di abilità personali e straordinaria faccia tosta) Peters costruisce una solida rete di contatti e amicizie e, alla fine, crea una società con Peter Guber, lui sì, un produttore. I due si fanno rapidamente una buona fama e cominciano a pensare in grande. Che per Peters significa: pensare a Batman. Entrano così in contatto con Michael Uslan, che da qualche anno sta portando in giro uno script sulla creatura di Bill Finger e Bob Kane (rigorosamente in quest’ordine) volta a ristabilire il fascino oscuro del personaggio, messo in ridicolo dalla serie televisiva (di enorme successo) degli anni sessanta, che aveva trasformato Batman in un’icona camp.

Nove rimaneggiamenti del copione dopo, e con una lista infinitamente lunga di registi
e attori legati al progetto (cipiace ricordare, in particolare, Ivan Reitman, Joe Dante, Clint Eastwood e Bill Murray), il film finisce nelle mani di un giovane autore di belle speranze, Tim Burton, fresco del successo di Pee-Wee’s Big Adventure. Non esattamente il primo film che verrebbe da associare a Batman, vero? Ma, si sa, Hollywood è strana. Ma Hollywood ha anche fiuto per i talenti e Burton, di talento, ne ha, questo è sicuro.
E lo dimostra poco dopo, con il successo di Beetlejuice, che non solo incassa benissimo (costando poco) ma che rende popolare e di moda in tutto il mondo lo stile visivo dark del regista. Uno stile che pare perfetto per un nuovo film su Batman che voglia riportare il personaggio alle sue origini oscure, no?

Sorge però un piccolo problema: a Burton non piacciono i fumetti di supereroi e non piace Batman. E non piacciono nemmeno le grandi produzione. Quindi il film di Batman accetta di farlo solo alle sue condizioni, la prima delle quali è l’attore protagonista: Micheal Keaton. Che è un bravo interprete sconosciuto ai più, non troppo alto, per nulla atletico, di una bellezza anomala e specializzato in parti sopra le righe e inquietanti. Peters e Guber non hanno problemi con la proposta del regista (voglio dire: loro pensavano a Bill Murray…): i fan del personaggio, invece, sì. E si lamentano veementemente.

Discorso diverso per l’antagonista: Jack Nicholson per la parte del Joker sembra perfetto a tutti quanti. Su Kim Basinger nessuno apre bocca: 9 settimane e ½ è ancora impresso nella memoria di tutti. La Warner, intenzionata a non incappare in un altro disastro come con Superman IV, confeziona un trailer fumoso che mette al centro il lavoro di Anton Furst (il geniale scenografo di tante grandi film e, nel caso di Batman, anche l’autore della sua iconica e riuscitissima locandina) e le musiche di un Danny Elfman ancora praticamente sconosciuto. E poi, per andare proprio sul sicuro, coinvolge Prince, facendogli comporre un intero album di canzoni che sarebbe andato di pari passo con la colonna sonora strumentale. Si può dire che la combinazione di questi elementi (il lavoro di Furst, quello di Elfman e quello di Prince) contribuirono in maniera decisiva a far divampare la “Batmania” che accompagnò l’uscita del film, trasformandolo in un successo senza precedenti. Costato trentacinque milioni di dollari, ne incassa cento nei primi dieci giorni. A oggi, la pellicola di Burton è ben oltre il mezzo miliardo.

Ma tutto questo basta per definirlo un classico? No. Il mondo è pieno di film di successo che poi non hanno saputo imporsi nella storia. Credo che ciò che faccia del Batman di Burton un classico sia che il tempo non lo abbia scalfito, tanto nei suoi aspetti migliori (l’impianto visivo, l’atmosfera, la colonna sonora, alcune interpretazioni), tanto nei suoi aspetti peggiori (l’assenza di ritmo, l’impalpabilità del protagonista, la rigidità delle scene d’azione). Oggi come allora, il Batman di Burton è un film sbagliato e bellissimo al tempo stesso, come un diamante difettoso e, per questo, unico. E come sappiamo, i diamanti sono per sempre.

Tre motivi per definirlo un classico:
– LE SCENOGRAFIE DI ANTON FURST
– LA COLONNA SONORA DI DANNY ELFMAN E PRINCE
– QUELLA ASSURDA E MERAVIGLIOSA BATMOBILE

© Warner Bros., The Guber-Peters Company, PolyGram Filmed Entertainment (3) – Moviestill

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