Suzu, una liceale di 17 anni, vive nelle campagne della Prefettura di Kochi con il padre, dopo aver perso la madre in giovane età. La prematura perdita ha fatto chiudere Suzu in sé stessa e l’ha allontanata dal padre e dalla cosa che più amava fare: cantare. Dopo aver capito che scrivere musica è il suo unico scopo nella vita, Suzu entra in [U], un mondo virtuale con cinque miliardi di membri online, dove diventa Belle, un avatar di fama mondiale per la sua voce straordinaria. Il suo incontro con un drago misterioso la porta a intraprendere un viaggio ricco di avventure, sfide e amore, alla ricerca della sua vera natura.
Belle, il nuovo film da regista di Mamoru Hosoda, porta avanti i temi da sempre più cari a questo gigante dell’animazione giapponese, appassionato cantore della famiglia e della virtualità, inserendoli in una confezione fiabesca e spettacolare dalla cassa di risonanza ancora più ampia e riprendendo ad esempio la visione originalissima e insolitamente positiva della tecnologia già esplorata nel suo precedente Summer Wars, nel quale l’approccio al mondo online era tutt’altro che dissimile.
Il regista di Wolf Children, The Boy and the Beast e del più recente Mirai firma infatti quella che è a tutti gli effetti una nuova versione dell’archetipica favola francese de La Bella e La Bestia calandola in una dimensione tanto sfavillante – sul piano visivo, anzitutto – quanto interattiva, nella quale la componente digitale fornita dalla presenza di avatar crea una miriade di fili, collegamenti e interconnessioni sottilissimi e impalpabili. Tanto tra le singole coreografie e i numerosi angoli di mondo messi in scena quanto tra il nucleo identitario della protagonista e l’idea di sentimento e romanticismo, altrettanto labile e struggente, che il film porta avanti, pur muovendosi su coordinate a conti fatti ben diverse e più pulviscolari rispetto a quelle della fiaba portata al cinema da Jean Cocteau e Walt Disney.
Le canzoni in Belle sono un magia che prende vita dallo smartphone, ogni nozione di conforto, amicizia o compagnia è idealmente generabile da un device digitale, azioni, reazioni e sollecitazioni replicano le dinamiche dei social media. Eppure quello del film di Hosoda è un macro-universo in cui c’è una forza tracimante e poetica in grado di restituire carnalità e poesia a ciò che si vorrebbe a tutti i costi bollare come anaffettivo e disincarnato, e che permette anche a temi in fondo così sorpassati nella nostra agenda quotidiana di vivere di una luce comunque vivida e di incrociare dei risvolti palpitanti.
Il film prende le mosse da un’utopia tecnologica molto assertiva, che è il cuore di tutto il discorso e del racconto che le è costruito intorno, la porta avanti con tenera, feroce ma non ottusa ostinazione, modellandosi intorno a una protagonista che è un’orfana, come tanti protagonisti dei film d’animazione giapponesi, e che trova in [U] una sorta di organismo biologico nel quale fiorire e liberare la propria potenza come cantante e performer (il mondo virtuale del film, messo a punto dal team di Studio Chizu, somiglia a una metropoli tentacolare sommersa da un’infinità di dettagli che scoppiano sullo schermo sotto forma di infiniti riverberi).
Belle, come personaggio femminile, è molto più di una principessa all’Occidentale e ha dentro di se le tante, sfuggenti malinconie dei personaggi dell’animazione orientale, è una fusione perfetta e quasi scientifica di punti di forza e carenze, e la sua fragilità nell’arco narrativo del film non viene mai negata ma sempre sublimata, con la stesso respiro magniloquente con cui Hosoda si muova dalla semplicità delle animazioni tradizionali disegnate a mano per approdare all’abbagliante e tonitruante caos di [U], universo virtuale in CGI che non ha nulla della quieta campagnola della vita di Suzu.
Belle, che più che un musical in senso stretto è un film d’animazione con le canzoni J-pop – messe lì a costruire un’uniforme e avvolgente sinfonia per accarezzare l’emotività dello spettatore -, in tal senso può essere letto anche come un film sulla scoperta – visiva, immersiva, psicologica, fiabaesca – della sproporzione, quanto dei mezzi tecnici quanto delle risorse che abitano dentro ognuno di noi. Specie quando si riaccendono in scia alla materializzazione epidermica di qualche ardito sogno adolescenziale, assopito ma pronto a prendere vita nella forma più avventata e spericolata possibile.
Foto: Studio Chizu
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