Asso. Figura. Ventuno. Black Jack. Il punto più alto. Non puoi perdere. Non si può. Vinci due volte e mezzo la posta. Non puoi perdere. Puoi al massimo pareggiare. Se il banco ha le tue stesse carte, puoi pareggiare ed è come se non fosse successo niente. E quando hai un punto come il Black Jack, pareggiare è come perdere, in realtà.
Il banco prende le carte. Figura. Asso. Non ci hai rimesso dei soldi, il banco ti restituisce i tuoi. Ma l’amaro in bocca resta fortissimo. Non vinci nemmeno quando le carte sono buone. Le migliori. Ecco, quella sensazione è proprio brutta. Ti resta sottopelle, ti si accoccola in grembo e non se ne va più via. Perché tu decidi di accoglierla, di pensare che abbia ragione lei, che meriti di restare. Che non ti bastano nemmeno le carte buone, le migliori. E allora ti alzi dal tavolo e cominci a fare un giro per il casinò. E vedi gente che vince con carte molto meno buone delle tue e ti arrabbi, finché non fai pace con la cosa e capisci che è il gioco, il caso, la vita. Le carte buone, intanto tienitele strette. Tanto, al massimo, pareggi.
La preparazione, gli anni di studio, le buone relazioni, il talento. Che poi, giri e rigiri in mano quella carta, il talento, e ti chiedi cosa voglia dire, quella parola. Ho 42 anni, 43 adesso che starai leggendo queste parole, eppure non lo so ancora, cosa sia il talento. Anche se ho passato anni e parole, per cercare di capirlo. Il talento è Federico. Seduto ora, qui, davanti a me. È il mio partner in scena, in questa scena di questo film di cui lui è il protagonista e io il suo “angelo custode”. Adoro fare ruoli come questo. Federico dice battute che ho scritto anche io, assieme a Saverio Smeriglio che il film lo dirige e con me lo produce (assieme a un manipolo di amici folli che ci sta dando la mano).
Recito con Federico e mi chiedo cosa sia il talento. Fede non ha mai studiato, eppure recita molto meglio di tanti miei ex compagni di accademia. Sta in relazione, ascolta e reagisce, vive quello che succede, resta “vero”, non sente assolutamente il peso della macchina da presa, reagisce a quello che succede in scena e si adegua, rispondendo di conseguenza. Mi gratifica infinitamente avere a che fare con un attore così.
Con Gifuni, sono stato così, uno dei più grandi di tutti. E poi allo stop Federico sorride, riempie la vita di tutti, ti ascolta anche se è un po’ sordo. Ah, sì, perché Fede è anche un po’ sordo. E in scena te ne dimentichi. Perchè respira con te, perchè ti ascolta col corpo, ti ascolta vibrare, percepisce le tue intenzioni e liquidamente le avvolge per ridartele indietro. Federico recita, semplicemente. Che è quella cosa che fai quando non pensi a recitare. Altrimenti, attorno a questo verbo meraviglioso che per me è vita, devi metterci un paio di virgolette, a inizio e fine parola. Federico mi sta facendo un master sulla recitazione e sulla vita. E io ora sono proprio felice, perché i miei (pochi, ammetto la mia arroganza) dubbi vengono dissipati e le mie tante certezze vengono rafforzate. Che bello, recitare con attori così. Che meraviglia. Ah, Fede è al suo primo film, ma di certo non potrà essere l’ultimo: un talento così non potrà passare inosservato. Certo, io e Saverio abbiamo scritto questo film per lui, l’abbiamo plasmato attorno a lui, ma di sicuro avrà altre occasioni. Stop. Scena fatta, buona. Mi alzo dalla sedia.
Fede no. Non può. Resta seduto alla sua sedia attaccata alle sue ruote. Fede ha una patologia che non so scrivere, senza cercarla su Google. E ora non mi va. Perché c’è da preparare la prossima scena. Io volevo fare solo i protagonisti, ma stavolta ho fatto un passo indietro, solo per il bene del film. E il film ripaga. Le carte sono di nuovo quelle: una figura e un asso. Al massimo pareggiamo. Andando verso il caffè guardo Fede che fa volare quelle ruote come fossero nuvole e gli chiedo, “Fede, ma secondo te, questo film che stiamo facendo, a cosa somiglia?” Mi guarda: “Beh, dai, per forza, a Quasi amici!” Certo, rispondo. Hai ragione. D’altronde tu sei… “io voglio fare quello alto e Nero”. E se ne va. E guardandolo andar via capisco che solo lui potrebbe fare Omar Sy, meglio di Omar Sy.
© Shutterstock (1), Quad, Ten Films, Canal+ (1)
© RIPRODUZIONE RISERVATA