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Nicola Nocella e la sua vita con… Una taglia in più

Nicola Nocella e la sua vita con… Una taglia in più

Sono grasso. Per fortuna lo sono stati in tanti, prima di me. E molti lo sono ancora, come me. Sono grasso e il mio cardiologo ha iniziato a dirmi che non è più così contento di vedermi tutto sto peso addosso. Sono grasso e al mio cuore inizia a non andare più tanto bene, ma davvero inca**ate sono le ginocchia. Le caviglie, ormai, hanno salutato la compagnia, sono ai Caraibi, a fare le caviglie sottili sotto il sole. Sono grasso e ho il fiatone, anche solo quando faccio una rampa di scale, figuriamoci quando faccio il tragitto tra il camerino e il set: che saranno mai, sti 400 metri in discesa? Nulla, è che poi ci devo ritornare, in quel camerino. Sono grasso e i vestiti non mi stanno. Non stanno a me e non so nemmeno a quanti italiani: convincetevene, non fate una doppia XL, fate una cosa da denuncia: siete in combutta con l’associazione psicologi, perché quella roba lì non è una doppia XL, mai nella vita. Soprattutto la mia, che è ampia. Sono grasso, e quindi non sono protagonista della mia vita. Almeno, così pensano spesso i produttori e i registi di cinema. E ogni volta che un ciccione (io quello sono, un ciccione, non è che non lo sappia, e non è affatto body shaming: sto parlando di me) è protagonista in un film, è di sicuro una storia di riscatto. Riscatto.

Perché, c’è qualcosa da pagare per avere indietro la vita? Perché c’è sempre qualcosa da recriminarsi se sei grasso: mica sei un vincente, mica sei un protagonista della vita sociale, mica sei uno con una vita sessuale. Sei quello simpatico, certo. Sei bravo ad ascoltare. Sei bravo a essere e fare l’amico. Sono grasso e sono l’incubo delle costumiste. Perché c’è sempre quel momento in cui ti chiamano per chiederti le misure, per prepararti i costumi. E io sono estremamente fortunato: sono famoso. Le costumiste lo sanno, quando mi chiamano, che stanno chiamando un ciccione, e allora io do loro una taglia in più. Qualche centimetro superfluo, così, quando arrivo a fare la prova costume, ogni volta mi sento dire: “Ma dai, non sei mica così grasso!”. Perché il percepito, nel mio lavoro, è tutto. Molto più importante il verosimile, rispetto al vero. Sono grasso e una volta una assistente ai costumi, provandomi un abito, vedendo che mi stava stretto, mi disse che il detto “Meglio regalarti un abito costoso che portarti a pranzo” così popolare in Puglia, con me non avrebbe comunque funzionato. Sono grasso, e lo sono sempre stato. Anche da ragazzino. Vorrei tanto andare a parlarci, adesso, con quel ragazzino. Dirgli che si può fare la storia anche se sovrappeso, si può essere talentuosi, bravi e protagonisti della propria vita anche da ciccioni, si può essere felici anche tanto, e non mi servono una copertina e Photoshop, io lo urlo scritto su Best Movie, che si è felici anche con qualche chilo in più. Non perfetti, felici. Sono su un set di un film che ho scritto anche io. Protagonista di una commedia romantica. Finanziata dalla più importante casa di produzione d’Italia. Ed è tutto credibile, tutto vero. Ehi, ragazzino, credici. Fino alla fine dei tuoi giorni. Perché sei sovrappeso, o non bellissimo e ti prendono in giro, e ti bullizzano e ridono di te. Tieni duro, credici e non smettere mai. E non avere paura di avere paura. Le città, come i sogni, sono costruite di desideri e di paure. Lo diceva Calvino, e te lo dico io, adesso, che sono la mia città. Tutta mia.

Brano ascoltato in loop mentre scrivevo: High” – Lighthouse Family

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