Proteggere le parole
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Proteggere le parole

Proteggere le parole

I soffitti non sono tutti uguali. Il bianco non è mai uguale a se stesso. Ne ho visti tanti di soffitti notturni. Di quelli che ti accompagnano nelle tue notti insonni, quelli che decidono di restare lì. E farti fare i conti con quello che hai, che sei e che stai diventando. “Date parole al vostro dolore altrimenti il vostro cuore si spezza”. Uno di quei consigli da seguire. Quando facevo lezione di voce, al Centro Sperimentale, la mia insegnante, Valeria Benedetti Michelangeli, mi costringeva a fare i conti con le parole. Una delle più grandi lezioni della mia vita me l’ha data lei: se non stai parlando a qualcuno, le parole non servono. Nessuno parla mai davvero a sé stesso, a voce alta. Le pensa, le parole. E crede di parlare a sé stesso. E invece finché i pensieri sono in testa, non esistono. Dare una vibrazione, un suono, attraverso l’aria che passa dalle corde vocali, che sono sostanzialmente fatte di acqua, finisce per rendere vere le cose. Reali. In pratica vediamo, attraverso le parole, quello che pensiamo. Ma cadono nel vuoto. Lacrime nella pioggia. Se non parli a qualcuno, le parole non servono. E non esistono. La recitazione è ascolto. Punto. Se tu non parli io non posso risponderti. E se non ti rispondo non possiamo andare avanti. Fino a quando uno dei due darà un “colpo” al dialogo.

Un “beat”, come dicono gli inglesi. Ecco, io a 38 anni ho imparato che le parole sono così importanti che vanno centellinate. Quando mi danno un copione inizio a vedere cosa tagliare. E ho deciso di farlo anche nella vita di tutti i giorni. Me lo ricordo, il soffitto della palestra del Centro Sperimentale. Perché a Valeria non bastava che continuassimo per minuti e minuti con delle lunghissime S, o F, o V, per capire fino a che punto si spingeva il nostro fiato. Perché quando parliamo non usiamo solo la bocca. C’è un diaframma che spinge, un condotto da cui l’aria passa, le corde vocali, il torace, i polmoni, la bocca, i denti, la lingua. Vi rendete conto di quanta fatica facciamo?

E allora non possiamo accontentarci di parole inutili. Le parole vanno pensate e pesate. E ogni volta che leggo una battuta penso solo: è necessaria? Perché il silenzio è meraviglioso. E parlare, dire una battuta, non serve a riempirlo, il silenzio. Serve a inciderlo. E allora bisognava fissare un punto preciso del soffitto in alto, visualizzare lì qualcuno a cui dire la battuta e dirla proprio a quel qualcuno. E nessun altro. O non ci avrebbe ascoltato. Quel soffitto di scuola era logoro, consunto, un bianco-dente-cariato. Eppure ha fatto di me quello che sono. Con le parole giuste. Non una di più. Il soffitto, stanotte, mi chiama e mi chiede se sono pronto. Domani sono di nuovo a un bivio. Alla Festa del cinema di Roma presentiamo Il maledetto, uno di quei film che ti cambiano la vita. Che potrebbero cambiartela. Ma noi sappiamo quel che siamo, non quel che potremmo essere. E allora posso solo mettermi qui e aspettare il prossimo soffitto. La prossima stanza, il prossimo frigobar. E, nell’attesa, fissare un punto e sibilare la mia S dolce fino a che non finisce il respiro. E pensare di parlare con te, proprio con te. Ovunque tu sia. E non lo sai, che sei proprio lì, in quell’angolino a sinistra, vicino alla finestra, del soffitto di ogni stanza che ho cambiato.

 

© Paramount Pictures, Platinum Dunes, Sunday Night (1)

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