Quelli che non dormono
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Quelli che non dormono

Quelli che non dormono

Io non dormo. Non ci riesco. Non che non mi piaccia, anzi. Mi piacerebbe molto dormire, stare lì e prendere sonno come chi poggia la testa sul cuscino e inizia a russare. Che invidia. Io, invece, non dormo e questo mi costringe a fare grande amicizia coi soffitti e con le pieghe di luce che entrano dalle imposte. Sì, perché io ho paura del buio, ma poi mi sveglia la luce, quando riesco ad addormentarmi dopo ore e ore di podcast e di Barbero che mi spiega Napoleone (e la vita).

Io non dormo e il mio psicologo ha detto che di questo non devo preoccuparmi, anzi, devo sfruttare questa cosa per lavorare. “Tanto prima o poi dormirai”. Certo. Avremo tutta la morte, per dormire. Leggenda narrava che sulla tomba di Walter Chiari ci fosse scritto proprio “Non vi preoccupate, è tutto sonno arretrato”. Non è mica vero. Anzi.

È sepolto al Cimitero Monumentale a Milano, un posto bellissimo che vi consiglio di visitare, prima o poi, possibilmente prima che sia troppo poi, e dove c’è anche Alessandro Manzoni da qualche parte. Che ho passato tutte le medie a immaginare Como e quel ramo che volge a mezzogiorno per poi andare a un festival del cinema a Como, chiedere del ramo e del lago, e scoprire che in realtà tutta la faccenda è ambientata a Lecco. Che uno ci rimane male, malissimo. Che uno, poi, alla fine, ci crede pure alle cose. Che se non ci credi, come fai poi a tirarti su? Se non credi a certe cose non esiste più tutto il resto. Esiste solo quello che riesci a dire a te stesso e quanto impari a volerti bene. A foraggiare la tua autostima. Che poi, diciamocelo, l’autostima è la reputazione che hai tu con te stesso: io non mi sto simpatico per niente, ma mi stimo. Anche parecchio. Almeno un quarto d’ora al giorno mi stimo. Poi torno a starmi sul cazzo. Perché sono pigro, e mi giudico. E allora mi sprono.

Su, alzati da questo letto. Su, alzati da questo divano. Su, finisci di scrivere il Belushi vive, altrimenti ti scrive un signore che si chiama Marco Cacioppo che ti dice, sorridendo, che sei in ritardo con la consegna e mentre sorride sai che vorrebbe solo pungolarti col forcone. Su, vai a camminare all’aperto. Su, non mangiare questo Kinder Cereali. Ecco, sono diventato mia madre. Solo che non so cucinare. Allora ecco, sono diventato la fidanzata di me stesso. Questo spiega molte cose, in realtà. E almeno smette di essere solo sesso occasionale. E allora, tra una cosa e l’altra, sono riuscito ad arrivare alla fine di questi miei tremila caratteri previsti, evitando scientemente di parlare dei David di Donatello. Che già a leggere le candidature sembrava che l’anno scorso fossero usciti solo 5 film italiani e non 135 (e non è mica un numero sparato a caso. Erano quelli in lista per i David). Cinque, non di più. Forse arriviamo a dieci, ecco, nelle categorie che chiamano “minori”.

Quelle che in giro per il mondo ci fanno vincere gli Oscar. Quelle che non votiamo tutti. Allora, gli altri 125 fanno tutti così schifo? Beh, uno l’avevo fatto io, e non so in quale categoria lo metterei. Uno, poi, che secondo me è bellissimo, non l’hanno fatto uscire. E allora non è nella lista dei 135 da cui noi, poi, abbiamo pescato le cinquine. E allora non sai con chi prendertela, non sai se prendertela, non sai da dove cominciare e non sai nemmeno dove andrà a finire. E allora non dormi, non puoi dormire. E non puoi che guardare il soffitto e il riflesso del lampione in strada che si fa largo tra gli infissi. E fai quella cosa che la mia ex chiamava “un piantino piccolo piccolo” e scavi nella tua memoria per capire chi, cosa, dove, come, quando. E ti dice, la tua memoria, che peggio di così non potevi fare. E solo allora ti ricordi che alla fine, la memoria, è solo una trappola. Almeno, così dice Barbero.

 

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