Io rosico. Non faccio finta che non sia così: rosico. È nella miseria della natura umana.
Se vedo un film bello penso che avrei voluto farlo io. E poi dico a tutti che è bello, di andare a vederlo. Se un mio collega fa una grande interpretazione, penso che avrei voluto farla io. Rosico. E poi glielo dico che, secondo me, è stato proprio bravo. Io rosico, tre minuti, e poi penso che, se si alza la qualità dell’offerta, si alzerà anche quella della domanda. La richiesta. Quello che il pubblico cerca, chiede, vuole. Che poi, alla fine, il pubblico vuole solo una cosa: onestà. Non essere trattato come un animale da pascolo e, anzi, sentirsi riconosciuta un’identità. Onestà. Quella che c’è dietro ai film che più hanno incassato l’anno scorso.
Che poi, per me che scrivo, il tuo passato prossimo è il mio presente anteriore. Lo sai, è la grande sfida di scrivere per un mensile: tutto ciò che per me è adesso per te è dimenticato. Perché bulimicamente fruiamo tantissimo per un periodo cortissimo e poi dimentichiamo all’istante: se ti citassi quello di cui oggi sono pieni i giornali, le bacheche, i siti, tu faresti fatica a ricordarne anche solo i contorni. E allora non posso che essere onesto e raccontarti tutto il casino che è fare ’sto mestiere, da talmente dentro che quasi mi faccio paura da solo, visto che mi piace essere coerente. Onestà, che poi è quella cosa che ha avuto Paola Cortellesi che si è fatta il film che le sarebbe piaciuto andare a vedere. E quello s’è fatto. E a modo suo ha fatto un piccolo pezzetto di storia. Ecco, per quel film rosico, perché invidio quella libertà, quella conquista fatta di sicuro con fatica che è la possibilità di fare esattamente quello che uno vuole, figlia della credibilità, dell’intelligenza, dell’affidabilità, delle capacità e del saper stare al mondo che tutti noi racchiudiamo per banalizzare in una parola sola: talento. Che poi è anche il nome che hanno dato in Fiat a un furgone. L’unica cosa a cui riesco ad aggrapparmi quando le cose non vanno come vorrei. Non il furgone, quell’altra.
Io sto cercando di fare la mia storia, di costruire qualcosa da raccontare un giorno a qualcuno che vorrà ascoltarla. Al pubblico. Il pubblico vuole solo ricevere un po’ di fiducia, vuole sentirsi trattato per quello che è: un essere pensante. Che vuole costruirsi un suo gusto. Non come massa informe ma come tante individualità tutte insieme. E il pubblico è stufo di continuare a sciropparsi roba che qualcuno ha deciso che il pubblico vuole. Ma quando mai? Anzi. Se un film è bello, la gente torna in sala. Sempre. Perché il pubblico ha imparato a godersela, mica a rosicare. Quello sono io. Io voglio continuare a rosicare. Sempre di più. Vuol dire che non ho smesso di tenerci. Tanto.
Ve lo dirò sempre piano, ma lo prometto: ve lo dimostrerò forte.
© Luisa Carcavale courtesy of Wildside, Vision Distribution, Sky Italia
© RIPRODUZIONE RISERVATA