Il Festival di Cannes 2021 ha trovato il suo film-scandalo: Benedetta, il nuovo lungometraggio di Paul Verhoeven presentato in Concorso, rispetta le aspettative della vigilia e come da copione concede al pubblico e agli accreditati della Croisette una ventata di provocazione pruriginosa, vero e proprio elemento ricorrente – salvo rarissime eccezioni – nell’agenda dei grandi eventi cinematografici con un’ampia copertura mediatica.
La Benedetta (Carlini) del titolo, interpretata da Virginie Efira, è una suora, figlia di una famiglia benestante, che entra a soli 9 anni nel convento di Pescia, in Toscana, in un periodo in cui la peste nera si è abbattuta su tutta la penisola spargendo a piene mani morte e disperazione (siamo, per l’esattezza, nel 1591). La giovane, ben presto, inizia a veder apparire davanti ai propri occhi delle visioni sospese tra l’erotico e il religioso, che nell’ambiente ristretto del convento calamitano l’attenzione e al contempo suscitano un risentito dissenso, quando non aperto disprezzo.
Il regista di Basic Instinct, Showgirls ed Elle torna dunque a scuotere i benpensanti e lo fa con un film di ricostruzione storica, basato su fatti reali e nel quale si racconta proprio di un’attrazione fisica fortissima tra due suore. Il vero fulcro dell’operazione, tuttavia, non sono gli amplessi lesbo, girati con travolgente, bramosa e torbida sensualità, né tantomeno il corredo di torture sadomaso, bubboni, piaghe della pelle e altre atrocità assortite che fanno capolino nella ricostruzione del cineasta olandese, che flirta anche col b-movie a medio-alto budget.
Certo, per l’etichetta del film-scandalo è chiaramente tutta roba che basta e avanza, visto che c’è anche una statuetta della Madonna trasformata in un dildo e qualche spruzzata di gore che si accompagna di buona lena alla violenza, agli orgasmi e a un’indagine sfacciata e priva di compromessi sugli istinti umani malamente celati sotto la coltre dell’esercizio del culto. Quello di Verhoeven, tuttavia, è a conti fatti un film molto più spirituale delle apparenze e di quello che si potrebbe pensare con un’occhiata superficiale, spinti magari dall’onda della polemica preconfezionata.
La protagonista è infatti una visionaria mistica, non solo una donna processata per aver condiviso il talamo con un’altrettanto giovane suora, interpretata da Daphne Patakia. Alla base c’è il libro di Judith Brown Atti impuri – Vita di una monaca lesbica nell’Italia del Rinascimento, pubblicato in Italia da Il Saggiatore nel 1989, ma Verhoeven si muove all’interno della cornice fornita dal testo forzandone i confini alla sua maniera: impudente e apocrifa, oltre che votata, come tutto il suo cinema, all’indagine filosofica della carnalità e delle sue componenti rapaci e predatorie (nel film si parla spesso di denaro laddove dovrebbe albergare lo spirito) e del conflitto insanabile tra spirito e materia.
Ci ha pensato lui stesso, durante la conferenza stampa di questa mattina, a mettere le cose in chiaro, scagliandosi apertamente contro il nuovo «puritanesimo» che, secondo la sua percezione, ha totalmente preso il controllo del cinema contemporaneo. Verhoeven, che di recente ha negato di aver “ingannato” Sharon Stone nella scena cult di Basic Instinct in cui l’attrice accavallava le gambe rivelando l’assenza di biancheria intima, ha anche accusato i critici di «non voler guardare la realtà della vita».
«Non capisco davvero come si possa davvero bestemmiare su qualcosa che è successo anche nel 1625 – dice il maestro olandese – Non puoi cambiare la storia, non puoi cambiare le cose che sono accadute, e io il film l’ho basato sulle cose che sono successe. Quindi penso che la parola blasfemia in questo caso sia stupida». Sul modo in cui ha realizzato la sequenza con protagonista il dildo della Vergina Maria preferisce invece non rispondere, e a un cronista del New York Times si limita a replicare: «Beh, hai visto il film».
A chi gli chiede dell’isteria che circonda, oggigiorno, molti discorsi sulla nudità, replica poi: «Non dimenticare, in generale, che le persone quando fanno sesso si tolgono i vestiti. Quindi sono fondamentalmente sbalordito da certe reazioni. E sì, è stato introdotto questo puritanesimo, che secondo me è sbagliato. Se servono dei coordinatori d’intimità sui set? Nel mio caso erano sempre gli attori ad esserlo in prima persona nelle scene che ho girato. A volte potrebbe essere necessario, ma al momento in Francia non credo lo sia».
Benedetta, dal canto suo, è un prodotto indubbiamente magnetico, girato con potenza visiva fiammeggiante, ma che può irretire e affascinare come suscitare sdegno e sberleffi. Quest’ultimo aspetto si deve probabilmente alla natura stessa dell’operazione, che procede a briglia sciolta e non teme di mescolare alto e basso, sacro e profano, tensioni mistiche e kitsch privo di remore e freni inibitori, che sfonda anche la parete del trash con consumato menefreghismo (si veda ad esempio la gestione fumettistica del nunzio apostolico interpretato da Lambert Wilson e l’uso anarchico – un po’ cinico, un po’ cartoonesco – del personaggio della Madre Badessa che ha il volto di Charlotte Rampling).
Tale eclettismo è in fondo la sua forza: scegliendo una messa in scena e un tono volutamente denigratorio contro il bon ton del racconto ascetico ed elevato, Verhoeven, a voler seguire il suo disegno, diverte e si diverte, gioca con la provocazione patinata, spazia negli anfratti lugubri e lucenti di Benedetta con lo spirito sornione e iconoclasta del battitore libero.
E, dentro al film, mentre davvero di tutto: comete rosso fuoco, tentati suicidi, apparizioni oniriche e ridicole di un Gesù in carne e ossa intento a decapitare serpenti e chi più ne ha più ne metta. ll confine tra trattato sulla fede come (e)scatologia e prostituzione e messa in burletta delle credenze fideistiche è dunque molto sottile, rimanere perplessi, sentirsi offesi e alzare il sopracciglio comunque legittimo, ma è anche vero che, come diceva Pasolini nell’ultima intervista che rilasciò in vita: «Scandalizzare è un diritto, essere scandalizzati un piacere e chi rifiuta di essere scandalizzato è un moralista, il cosiddetto moralista».
Foto di copertina: SBS Productions, Pathé, France 2 Cinéma, France 3 Cinéma, Topkapi Films, Belga Productions
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