Berlinale 2015, 1992: l'Italia di Tangentopoli. La recensione della serie tv con Stefano Accorsi
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Berlinale 2015, 1992: l’Italia di Tangentopoli. La recensione della serie tv con Stefano Accorsi

Una produzione di Sky Atlantic, è stata presentata nella sezione Special Series e arriverà in Italia il 24 marzo

Berlinale 2015, 1992: l’Italia di Tangentopoli. La recensione della serie tv con Stefano Accorsi

Una produzione di Sky Atlantic, è stata presentata nella sezione Special Series e arriverà in Italia il 24 marzo

17 febbraio 1992. Milano. Pio Albergo Trivulzio. Marco Chiesa viene trovato dalla polizia a tirare banconote da 100 mila lire giù per lo sciacquone. È la stagione di Tangentopoli. Inizia la maxi-inchiesta Mani Pulite.

Con un’apertura così cronachistica, che sembra strizzare l’occhio alla serialità nostrana dei polizieschi, 1992: l’Italia di Tangentopoli, prodotta da Sky Atlantic e presentata oggi in anteprima nella sezione Special Series della Berlinale, sembra il racconto della nostra Storia recente con uno sguardo che assomiglia a quello canonizzato dal modello televisivo. Che però smonta subito, tradendo ogni aspettativa di adesione a un protocollo narrativo, linguistico ed estetico.

Nata da un’idea di Stefano Accorsi, che interpreta uno dei personaggi principali, e sviluppata poi da un team di sceneggiatori d’eccezione, Alessandro Fabbri, Stefano Sardo e Ludovica Rampoldi, 1992 prende le mosse dalla necessità di rileggere uno dei momenti più significativi della storia politica italiana non attraverso la replica, in chiave giornalistica, delle cronache di quell’anno. Ma, grazie a un intenso lavoro documentale, ricostruisce gli eventi con uno sguardo inedito per il nostro panorama culturale, facendo sì che la Storia venga desunta dalle circostanze economiche, politiche, sociologiche e mediali che attraversano le biografie dei suoi personaggi. 1992 è quindi, in primo luogo, una serie che racconta lo spirito del tempo, attraverso una galleria di figure che gravitano attorno agli ambienti più sensibili di allora, quelle “correnti ascensionali” che portavano il marketing nella politica, la Lega Nord in Parlamento, la Televisione all’oligopolio pubblico-privato, la polizia alla scoperta della corruzione tra industriali e partiti.

Stefano Accorsi, Guido Caprimno, Domenico Diele, Miriam Leone, Tea Falco e Alessandro Roja, vengono diretti da Giuseppe Gagliardi sullo sfondo di una Milano già postmoderna, che se negli interni, nei costumi e nelle prime tecnologie cita il vintage con una certa ironia (il Motorola, la gioielleria dorata e appariscente, i volumi anni ’80 degli abiti), nel linguaggio cinematografico è debitrice di una visione finalmente matura della regia televisiva, lanciata verso la libertà della macchina da presa. Panoramiche, sguardi dal basso, campi-controcampi costruiti con lo sguardo di chi padroneggia tanto la grammatica, quanto l’estetica della cinematografia americana seriale più recente (e non a caso uno dei modelli è Mad Man), fanno di 1992 un prodotto nazionale svincolato dai protocolli della fiction e consapevole del contesto visivo degli ultimi anni. Quello di un’ibridazione tra lunga serialità e racconto filmico.

A qualcuno potrà sembrare un derivato di Gomorra, che d’altro canto ha rappresentato uno spartiacque nella storia della fiction italiana (e che condivide all’interno del suo team anche gli sceneggiatori). 1992, invece, ne prende le distanze dal primo momento, tra l’altro per la scrittura in contemporanea dei due prodotti. Esperimento inedito su Tangentopoli, la serie non ha nè un genere di appartenenza, nè un immaginario precostituito. Basandosi su una memoria che verrà condivisa da una parte probabilmente non maggioritaria del suo pubblico (molti saranno infatti i giovani spettatori che erano ancora bambini negli anni ’90), 1992 riesce mantenere in equilibrio il piano storico con quello delle vicende private dei suoi personaggi, ponendo l’accento su discorsi che la serialità italiana di genere non conosce.

Non potendo appartenere a un genere, appunto per questa sua natura ibrida ed enciclopedica, 1992 intercetta il momento sociologico in cui la comunicazione e la società dei media iniziano a costruire quei desideri su vasta scala che fanno la Storia. Disseminando lungo il suo racconto le tracce sociali della vicenda televisiva in Italia, lo strumento per eccellenza di costruzione di quel sogno spensierato di disimpegno e narcisismo, 1992 mina dall’interno gli equilibri dello stesso mezzo che l’ha generata.

L’operazione è dunque complessa e, dalle due puntate mostrate, si spera prosegua per i successivi 8 episodi con la stessa puntualità descrittiva. In Italia la vedremo dal 24 marzo, in contemporanea in Inghilterra, Germania, Irlanda e Austria. Una sorpresa inattesa e una sfida che si giocherà anche oltre i limiti del racconto geografico.

 

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