Berlinale 2015, l'acqua ha il sapore del Cloro. L'intervista a Lamberto Sanfelice
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Berlinale 2015, l’acqua ha il sapore del Cloro. L’intervista a Lamberto Sanfelice

L'esordio alla regia con Sara Serraiocco e Piera Degli Espositi, in uscita da noi a Marzo, è stato presentato in anteprima anche al Sundance

Berlinale 2015, l’acqua ha il sapore del Cloro. L’intervista a Lamberto Sanfelice

L'esordio alla regia con Sara Serraiocco e Piera Degli Espositi, in uscita da noi a Marzo, è stato presentato in anteprima anche al Sundance

Alla Berlinale nella sezione Generation 14 plus, Cloro è uno dei pochi film italiani della kermesse. Abbiamo incontrato il regista, per chiedergli che effetto fa, da esordiente, trovarsi in poche settimane nei festival più prestigiosi del mondo, dai palchi del Sundance a quelli della capitale tedesca.

Un’immagine. Quella di una ragazza troppo giovane per essere una madre e di un ragazzino che urla rabbioso alla fermata dell’autobus, nei pressi di una stazione sciistica. Lamberto Sanfelice la ricorda come un fotogramma, quello da cui parte la riflessione che affronta nel suo Cloro.

Jenny (Sara Serraiocco) ha una vita tranquilla a Ostia, punteggiata dagli allenamenti di nuoto sincronizzato, lo sport che pratica a livello agonistico e in cui vuole essere campionessa. Ma i progetti chiari del suo futuro vengono cancellati, come un colpo di spugna, da una tragedia familiare. La madre di Jenny muore, lasciando lei e il suo fratellino nelle mani di un padre già scosso dalla disoccupazione, e incapace di elaborare il lutto. Costretti al trasferimento forzato, in una sorta di emigrazione al rovescio, verso le montagne inospitali e quasi disabitate della Maiella, dove vengono sistemati nella baita di uno zio, Jenny e i suoi affrontano a fatica uno stato di precariato. La ragazza, dovendosi prendere cura di loro, lascia la scuola e inizia a lavorare in un vicino albergo, dove troverà una piscina in cui, segretamente, cercherà di allenarsi per tenere in vita il suo sogno e, tra mille difficoltà, arrivare a gareggiare nel campionato insieme alla sua compagna di squadra Flavia.

Le condizioni in cui viene affrontato il percorso di crescita della tua protagonista non sono comuni…

«Nel raccontare la storia di Jenny ho cercato un contrasto tra il mare e la montagna, perchè volevo sradicare la ragazza dal suo luogo abitudinario per metterla in difficoltà in un nuovo spazio più ostile. La vita non è un percorso sempre lineare, ci sono ostacoli che ciascuno è chiamato ad gestire e il modo in cui li si affronta diventa il motivo della propria crescita. Per Jenny, a differenza della sua amica Flavia come di tutti gli altri adolescenti, il percorso è stato più accidentato, ma alla fine sono proprio queste condizioni che l’hanno fatta maturare.»

Il fatto che Jenny pratichi uno sport agonistico come il nuoto, in un certo senso la prepara, la tempra. Come mai hai scelto proprio il nuoto sincronizzato?

«In questo film il nuoto sincronizzato resta sullo sfondo, ma l’ho scelto per un motivo preciso: avevo visto delle bellissime immagini qualche anno fa e mi aveva lasciato un’impressione notevole tra quello che succede sopra la superficie dell’acqua, dove prevale un risultato estetico di coordinazione, di espressione artistica e di bellezza, e quello che succede sotto, che esprime invece una gran fatica per creare questa bellezza. Quando ho capito che la mia protagonista avrebbe dovuto avere un sogno, io le ho dato questo, perchè è una metafora di equilibri.»

Ostia, la Maiella, sono contesti molto locali, ma il racconto umano di cui parli è universale. Paradossalmente però il film è stato visto prima in America al Sundance e adesso qua a Berlino, come è stato per voi presentarlo all’estero?

«Il film uscirà in Italia a Marzo. Intanto, però, lo spostamento geografico ci ha reso molto felici. Partecipare a questi Festival importanti è una soddisfazione che prendiamo come incoraggiamento nel cercare di continuare a fare le cose come facendo ora. Per me l’emozione è stata fortissima: c’erano 900 persone oggi in sala, ho avuto un colpo a vederle tutte insieme! La sala era meravigliosa, con uno schermo di 30 metri che non avevo mai visto e poi quando il pubblico applaude ti senti gratificato.»

Hai studiato alla New York University, poi sei tornato in Italia. Cosa ti ispira nel cinema? 

«A New York ho fatto solo un corso di due mesi, in cui è stato interessante girare le prime cose. Ma la regia si insegna fino a un certo punto, poi bisogna guardare i film, vedere il lavoro di persone che siano illuminanti, che spalanchino orizzonti tali da farti capire che per raccontare una storia si deve essere originali. Io sono ispirato dal cinema, è questa la mia scuola.»

 

 

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