Maria è una ragazza graziosa, ma decisamente bizzarra; quando arriva come responsabile del controllo qualità nel mattatoio dove Endre è il direttore finanziario sono in molti a notare la sua rigidità e il suo totale isolamento. Eppure tra lei ed Endre, un uomo di mezza età con un braccio paralizzato, si crea una strana connessione, fatta di goffi tentativi di comunicare, puntualmente disattesi dalla timidezza di lui e dalle nevrosi di lei. Sarà la scoperta di condividere un sogno ricorrente (in cui entrambi si ritrovano a vagare per boschi innevati nei panni di cervi) che comincia a incrinare le difese di tutti e due mettendo le premesse di una storia d’amore che potrebbe però facilmente finire in tragedia. Girata in toni di realismo (anche le sequenze oniriche sono volutamente per nulla sognanti) senza rinunciare però a una buona dose di umorismo, la pellicola scritta e diretta dall’ungherese Ildiko Enyedi ha aperto il concorso a Berlino con una storia che, nonostante le premesse «non vuole essere una metafora quanto il tentativo di comunicare un sentimento, uno stato della mente».
«È un film semplice, su due persone che hanno un tesoro nascosto…come del resto ciascuno di noi» ha dichiarato la regista «Normalmente io scrivo e riscrivo i miei film, mentre in questo caso l’ho steso e poi rivisto praticamente una volta sola, aggiustando pochi dettagli».
Non altrettanto semplice la realizzazione, che oltre agli ottimi interpreti “umani” (Alexandra Borbély e Géza Morcsányi nei ruoli principali) ha dovuto ricorrere ad animali ben addestrati per realizzare le sequenze oniriche dal momento che «lo state of mind degli animali è parte integrante del racconto». Sarà anche per questo che in conferenza stampa la regista ha portato anche l’addestratore dei cervi, che nel film rappresentano l’inconscio dei due protagonisti… Gli animali, non solo i cervi, ma anche i bovini del mattatoio, sono del resto il contraltare muto delle vicende di due esseri umani che faticano ad esprimere i loro sentimenti, in una forma quasi patologica nel caso di Maria, che non a caso fa un lavoro simile a quello di Temple Grandin, che affrontando il suo autismo inventò pure un sistema per gestire il passaggio del bestiame al mattatoio…
La Borbély è terribilmente efficace nell’esprimere quasi tutto con gli occhi (e con i gesti che ristabiliscono maniacalmente ordine e pulizia). «Fin dall’inizio l’obiettivo era di far vedere che Maria aveva moltissimo dentro di sé, ma che nulla di ciò era visibile, era come sepolto in profondità e solo gli occhi potevano tradirlo, tutto doveva passare dagli occhi». Talvolta i suoi comportamenti e i suoi comici tentativi di tenere il passo con la comunicazione della gente “normale” (decifrandone i sottotesti mentre rimette in scena con gli omini Lego le conversazioni che ricorda parola per parola attraverso una memoria nevrotica e prodigiosa) fanno prendere al film la direzione di una commedia un po’ surreale. Va detto, però, che la bravura e la delicatezza delle regista/sceneggiatrice sta tutta nel rendere un’umanità a tutto tondo, con fragilità e insicurezze che si amplificano nel microcosmo del mattatoio, esplorato con meticolosa precisione e proprio per questo capace di rendere universale una vicenda che è poi quella di due solitudini in cerca di un modo per trasportare nella realtà l’impossibile armonia vissuta nel sogno.
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