Berlinale 2020: Elio Germano è Ligabue in Volevo nascondermi, il primo dei film italiani in concorso con la regia di Giorgio Diritti
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Berlinale 2020: Elio Germano è Ligabue in Volevo nascondermi, il primo dei film italiani in concorso con la regia di Giorgio Diritti

La vicenda di uno dei pittori e scultori più importanti del secolo scorso, che dal tormento della malattia mentale saprà trovare nell’arte la via del riscatto

Berlinale 2020: Elio Germano è Ligabue in Volevo nascondermi, il primo dei film italiani in concorso con la regia di Giorgio Diritti

La vicenda di uno dei pittori e scultori più importanti del secolo scorso, che dal tormento della malattia mentale saprà trovare nell’arte la via del riscatto

Afflitto fin da bambino da disturbi mentali e deformità fisiche che lo rendono un outsider, Antonio Ligabue dalla Svizzera dove era cresciuto viene rispedito nell’Italia fascista degli anni Venti e finisce per stabilirsi nel paesino di Gualtieri, nei pressi di Reggio Emilia. Una realtà contadina dove Antonio è spesso guardato con sospetto e fatto oggetto di scherno. Dopo anni di isolamento, povertà e sofferenza fisica, che non lo privano tuttavia di un profondo istinto vitale, Antonio comincia a dipingere, e finalmente il suo dolore trova una via d’uscita nelle immagini di animali, della campagna, negli autoritratti che a poco a poco lo faranno conoscere ovunque.

«Antonio Ligabue ha lottato tutta la vita per essere riconosciuto come uomo e come artista. In questo la sua singolarità mi pareva utile all’intera umanità. Ligabue non è un artista uscito dall’accademia, ma un uomo vissuto ai margini, rifiutato da tutti, che in Italia si ritrova come un migrante pur essendo italiano».

Così descrive Giorgio Diritti il protagonista del suo film e il senso del suo lavoro, il quarto lungometraggio non documentaristico.

«Oltre a studiare ho potuto parlare con chi lo ha conosciuto, e la cosa che mi ha più colpito è stata l’impressione che ha lasciato sulle persone. Nonostante la sua sofferenza e la deformità, a molti è rimasto impresso il suo sorriso e il fare quasi infantile. Perché davvero Antonio era un uomo, ma anche un bambino con qualcosa che non era cresciuto e nell’arte ha invece trovato un compimento»

Un personaggio difficile che sullo schermo ha trovato un interprete eccezionale in Elio Germano, sottopostosi a una trasformazione fisica impressionante.

«Non ho voluto confrontarmi con le interpretazioni passate, tra cui quella di Flavio Bucci, ma con il personaggio reale. Ho studiato a fondo, esaminato anche quel poco di filmato che c’è su di lui, ho affrontato un lavoro quasi giornalistico per capire chi era. Ho assorbito il più possibile e poi ho lasciato che le cose venissero fuori, è questo il mio metodo. Ma non ci sarei mai riuscito se non con il supporto di chi con la prostetica e le acconciature mi ha tolto la preoccupazione di “mettere in scena” il corpo di Ligabue. Invece così ho potuto concentrarmi sull’interiorità di un uomo deforme ma vitale, che pur nella sua fragilità non è mai sceso a compromessi».

Per mettere in scena questo percorso di lotta continua per un riconoscimento come uomo prima ancora che come artista, Diritti ha scelto di non indulgere nella rappresentazione dell’artista alle prese con la realizzazione delle sue opere, ma di far vivere l’ambiente in cui Ligabue si è mosso (compreso il dialetto locale), mettendo in scena il mondo che emerge dai suoi quadri, dai colori accesi, senza avere il timore di virare al cupo nel raccontare il suo travaglio interiore.

«Nel montaggio come nel racconto ho voluto andare all’essenziale, distillando il materiale in chiave emotiva. Ecco la ragione di un inizio in cui si combinano più piani temporali, senza pretendere di spiegare, ma puntando alle sensazioni da comunicare al pubblico».

Il risultato è una pellicola che va oltre il semplice biopic per raccontare, senza timore di dare spazio qua e là anche all’umorismo, un’avventura umana che lascia il segno.

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