La piccola Vittoria, pelle chiara e capelli rossi che la fanno spiccare tra i coetanei in un paesino sulla costa della Sardegna, crede di essere figlia di Tina (Valeria Golino), che l’ama di un amore possessivo e totale. Ma poi incontra Angelica (Alba Rohrwacher), una donna dalla vita disordinata, schiava dell’alcool, che per i debiti deve lasciare la sua casa sulle colline fuori dal paese e che con Tina ha un rapporto difficile da spiegare… Affascinata da Angelica, Vittoria comincia a frequentarla e così scopre che quella è la sua vera madre, che l’ha “venduta” ma che forse ora la rivuole vicino. Ma Tina non resta a guardare e tra le due donne comincia una lotta a distanza per il cuore di Vittoria, da cui sia loro che la ragazzina usciranno profondamente cambiate.
Laura Bispuri torna a Berlino tre anni dopo Vergine giurata e continua con questo film il suo percorso artistico, fatto di storie e personaggi femminili, posti finalmente in primo piano il che è, dichiara la regista « già di per sé una presa di posizione» particolarmente significativa nel dibattito attuale. « La storia è nata molto tempo fa, prima ancora che facessi Vergine Giurata, dal racconto di una ragazza che mi ha detto di voler essere adottata da un’altra famiglia. In realtà, da quello spunto sono partita per parlare di maternità, un tema antico – basti pensare alle due madri in contesa di fronte a Salomone -, ma per decostruire l’idea della madre perfetta attraverso due figure di madri inadeguate e imperfette, ma proprio per questo in qualche modo belle».
Un lavoro durato due anni, tanto quanto il tempo di scrivere questa storia con la sceneggiatrice di fiducia (Francesca Manieri), per poi calarla nella realtà fisica della Sardegna, scelta perché «è una terra con una forte identità, una tradizione, ma allo stesso tempo aperta all’arrivo del nuovo… un po’ come i personaggi che raccontano, tutti forti, ma alla ricerca di una nuova identità. In particolare la piccola Vittoria, che vuole capire chi è». Una ricerca che la Bispuri racconta in lunghi piani sequenza, attenta a valorizzare il paesaggio (e la sua forza, di nuovo da lei paragonata a quella delle protagoniste), anche attraverso una fotografia calda frutto della collaborazione con Vladan Radovic.
Golino e Rohrwacher si dichiarano entusiaste del lavoro con la regista, perché «ci ha permesso di esplorare territori sconosciuti, c’è un rapporto di fiducia per cui ognuna di noi si è sentita libera di scoprirsi e rischiare, di dare il peggio di sé, sicure che lei ci avrebbe guardato con amore».
Lo stesso con cui viene seguita la giovanissima protagonista interpretata da Sara Casu, solo un anno più grande della sua controparte in scena, scelta dopo 8 mesi di provini sia per la sua somiglianza con la Rohrwacher che per la sensibilità con cui ha saputo cogliere il percorso di una ragazzina contesa capace di prendere in mano il proprio destino. «L’ho scelta per la sua voce e i suoi colori, che rappresentano una Sardegna lontana dagli stereotipi, e lei è stata bravissima a interpretare quello che è a tutti gli effetti un ruolo vero, difficile, impegnativo» ha detto la Bispuri.
In un mondo di donne in lotta, di femminismo concreto più che legato a un astratto dibattito sui ruoli, c’è però anche spazio per una figura maschile positiva, Umberto, il marito di Tina interpretato dal taciturno Michele Carboni. «È un uomo giusto e buono, esempio di un maschile diverso, importante, capace di accudire, ribaltando così i ruoli tradizional in positivo» precisa la Bispuri che, interrogata sulla natura del suo cinema, fa proprie due definizioni datele dai giornalisti: una regista di cinema fisico, autrice di un cinema che è neorealismo disegnato. «Cerco sempre un equilibrio tra la realtà, di cui sento un bisogno disperato e il disegno che ci sovrappongo, che è solo mio».
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