Cobra Kai, la serie Netflix che riprende le vicende dei protagonisti del film del 1984 The Karate Kid – Per vincere domani, ha guadagnato una popolarità enorme in tutto il mondo, risvegliando non solo l’interesse dei fan originari, ma anche di nuovi appassionati. Giunto alla terza stagione, Cobra Kai non è solo un grande revival televisivo degli anni ’80, forse ancor più di Stranger Things, ma anche un racconto inedito di alcuni aspetti della società americana: ne hanno parlato ai Best Movie Talks Nanni Cobretti, Roberto Recchioni e il nostro Giorgio Viaro.
Guarda qui sotto la videorecensione di Cobra Kai!
«Cobra Kai mi ha conquistato subito», ha detto Nanni Cobretti. «Non si limita alla nostalgia, che sarebbe stato patetico perché i protagonisti non hanno fatto molto al di fuori di Karate Kid, ma propone un ribaltamento di prospettiva, ovvero che Daniel fosse il vero bullo e Johnny una sorta di vittima incompresa. C’è uno sguardo interessante: Johnny riforma il Cobra Kai e la serie mostra qual è la gente attratta da questo tipo di scuola, cioè gli emarginati che possono cadere nella tentazione della violenza per seguire qualcuno che gli promette un senso di sicurezza e di rivalsa. La serie, insomma, cerca di farti vedere cosa c’è dietro questa scelta».
«Per la prima volta ho visto in una serie americana una riflessione seria e non stereotipata sull’Alt-right», conferma Roberto Recchioni. «Cobra Kai cerca di esplorare queste persone e farci capire che non si tratta di bifolchi, ma di esseri umani che hanno bisogno di rifugiarsi in una certo tipo di epica».
Per Giorgio Viaro «la forza della serie è che, rispetto alla maggior parte dei revival anni ’80 che rimettono in scena i temi o i personaggi di allora, Cobra Kai utilizza il tempo che è passato per togliere quei temi dallo stereotipo, per esempio il discorso sul bullismo, e dargli una profondità che negli anni ’80 non avevano».
Il rapporto tra Daniel (Ralph Macchio) e Johnny (William Zabka), a un certo punto, diventa una specie di bromance: siamo curiosi di vedere se davvero diventeranno amici. «Io in loro vedo molto Apollo e Rocky», dice Recchioni. «Il primo Karate Kid, per me, era Rocky per i quindicenni: c’era realismo, io mi identificavo in Daniel, ragazzino povero, con la madre che aveva una macchina scassata. Per me aveva quel film la stessa struttura di Rocky. E questo ti permetteva di accettare anche che i combattimenti di karate nel film facevano schifo!».
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