Il Bif&st inaugura le sue anteprime da tutto esaurito con Il discorso del re (in inglese: The King’s Speech), proiettata in lingua inglese con sottotitoli in italiano, vincitrice del Golden Globe per il migliore attore protagonista, Colin Firth, e meritevole di ben sei nomination (miglior film, miglior attore non protagonista, migliore attrice non protagonista, migliore regia, miglior sceneggiatura, migliore colonna sonora).
Il film, diretto da Tom Hooper, racconta la storia dell’ascesa al trono del Duca di York (Colin Firth), afflitto dall’infanzia da una grave forma di balbuzie che lo inchioda emotivamente al punto di crescere e vivere in una condizione di subalternità rispetto al fratello, il Re Eduardo VIII (qui interpretato da Guy Pearce).
La scandalosa abdicazione al trono del fratello David, costringe Bertie (nomignolo usato dai famigliari per il Duca Albert) ad affidarsi, seppur scettico, a un logopedista, per guarire dalla balbuzie che gli impedisce di sentirsi meritevole della corona.
Le tecniche poco convenzionali di Lionel Logue (Geoffrey Rush), unite alla forte perseveranza di Bertie, riescono a dominare e mai a guarire del tutto la malattia per la durata del film, che nella versione in lingua originale, ci fa percepire in particolar modo i tentennamenti, la reiterazione delle iniziali, i suoni che escono sordi se non silenti, e il disagio che ne scaturisce in occasione di un discorso ufficiale.
In un contesto storico drammatico dell’Europa dei totalitarismi, l’accenno alle simpatie di David per il Fuhrer funge blandamente da contrapposizione tra la costruzione delle personalità dei fratelli: l’abile oratoria di Hitler, a cui il protagonista guarda con desiderio di emulazione, costituisce un incoraggiamento al desiderio di rivalsa verso il Re Eduardo VIII, il cui temperamento spigliato aveva causato negli anni gli squilibri emotivi che impediscono a Bertie di esprimersi adeguatamente.
Il logopedista australiano scava nella memoria del protagonista («Non dovete temere le stesse cose che temevate quando avevate cinque anni») e abbatte il muro della sua diffidenza offrendogli, in cambio di uno scellino per la sfida vinta, la propria amicizia, e restituendo così voce all’affettività di un re che non voleva diventare re.
Solo nel finale del film Giorgio VI riesce a liberarsi del più grande limite che un leader può avere, e con la presenza del suo eccentrico precettore Logue, pronuncia alla radio il discorso che unirà la nazione in vista dell’entrata in guerra.
Lionel Logue diventerà Cavaliere dell’Ordine Reale Vittoriano, e resterà per tutta la vita fedele amico del re Giorgio VI, supportandolo in tutti i discorsi alla nazione: un insegnamento alla fiducia nel prossimo, che si traduce in una costruzione della propria autostima e accettazione dei propri limiti.
Il discorso del re vale al pubblico come una seduta di psicoterapia lunga quanto la vita di un re.