Era il 1997 quando faceva il suo esordio in America Buffy l’ammazzavampiri, celebre serie televisiva scritta da Joss Whedon e con protagonista Sarah Michelle Gellar. Nessuno, all’epoca, si aspettava il successo stratosferico che poi lo show ottenne negli anni a venire. Dopotutto, era un periodo in cui le storie sugli adolescenti erano ancora poche e stereotipate: l’idea che la salvezza del mondo fosse nelle mani di una ragazzina bionda e minuta era, e per certi versi lo è ancora oggi, piuttosto sovversiva.
Tantissime sono le barriere che ha abbattuto Buffy, mostrando voglia di osare e di creare un nuovo modo di fare televisione. Emblematici, a questo proposito, alcuni degli episodi più celebri: Hush (decimo episodio della quarta stagione), Once More, with Feeling (settimo episodio della sesta stagione) e soprattutto The Body (sedicesimo episodio della quinta stagione).
Quest’ultimo è generalmente ritenuto l’episodio migliore di Buffy l’ammazzavampiri, tanto che Joss Whedon lo ha più volte definito “il suo capolavoro”, qualcosa che non è mai riuscito a superare nel resto della sua carriera. In effetti, sia dal punto di vista tecnico che da quello del significato, si tratta di un episodio che ha avuto un profondo impatto sulla storia delle serie Tv.
The Body, andato in onda nel 2001, si apre con la protagonista Buffy che ritorna a casa, fa dei commenti con nonchalance su dei fiori disposti sul tavolino, per poi girarsi e trovare la madre Joyce Summers priva di vita sul divano. L’elemento che cambia tutta la prospettiva, però, è che Joyce non è spirata per mano di un villain, come si aspetterebbero Buffy o gli spettatori, bensì di morte naturale. Per la protagonista e i suoi amici, quindi, non c’è nulla da fare se non accettare l’accaduto ed elaborare il lutto.
L’episodio, quindi, lascia da parte l’azione tipica della serie e si concentra sulla reazione dei personaggi all’evento traumatico, mostrando “in diretta” lo shock e l’atmosfera surreale delle ore seguenti alla scoperta del corpo. Senza musica di sottofondo ad accompagnare la narrazione, vediamo così il panico di Willow, la rabbia di Xander, il dolore di Dawn o l’incredulità di Anya, che in quanto ex demone non comprende l’assurdità della condizione mortale (sentimento che esprime nel monologo più memorabile della puntata).
«Ciò che volevo davvero catturare – ha spiegato successivamente Whedon – era la componente quasi “fisica”, potremmo dire la noia di quelle prime ore. La morte è l’unica cosa che Buffy non può combattere. La rende priva di uno scopo: se non può combattere, non ha alcuna identità». E il più grande merito di The Body è proprio questo: essere riuscito a riprodurre l’impotenza davanti al primo incontro con la morte, mostrando non soltanto la sofferenza e il lutto, ma anche gli aspetti più ridicoli e, in un certo senso, tabù, come la noia, l’assurdità, le reazioni viscerali, il silenzio, il timore e il senso di alienazione del trovarsi davanti a un cadavere. Una rappresentazione che, nel contesto della serie, restituisce dignità ed eleva le emozioni degli adolescenti, e che crea un filo diretto di immedesimazione ed empatia con chi guarda. «Non volevo trasmettere alcuna lezione in particolare, non c’è catarsi – ha spiegato Whedon -. Volevo solo raccontare una storia sul lutto. Molte persone, però, mi hanno detto che l’episodio gli è stato utile per superare i loro, di lutti, e questo mi ha davvero sorpreso».
Fonte: The Atlantic
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