C’è una storia che ci comprende tutti: singolarmente, come parte di una famiglia e come parte del creato. Va dalla notte dei tempi e del pensiero, passa per la mutazione della materia e arriva alla vita, che poi si trasforma a sua volta, infinite volte (dinosauri compresi…), fino a diventare ciascuno di noi. Almeno per un periodo di tempo: poi la vita finisce e… ? E la risposta che Terrence Malick sceglie (e non è una sorpresa, se lo conoscete) è che a questo punto ci ritroveremo tutti, per primi i nostri cari, stretti in un abbraccio, secondo una visione dell’aldilà così pacificamente mistica che una grossa parte del popolo dei festivalieri (notoriamente gente cinica, che ha bisogno di secchiate di nichilismo per sentirsi appagata) non ha potuto evitare di fischiare sonoramente sui titoli di coda, alla fine della proiezione per la stampa.
Tree of life, quinto film del regista texano in quarant’anni di carriera, racconta appunto il ciclo della vita sulla Terra alternando l’approccio cosmologico a quello umanista. Il primo si materializza in una lunghissima sequenza semi-astratta, di straordinaria potenza visiva, che richiama alla mente il viaggio finale di Bowman in 2001 Odissea nello Spazio (e non è certo l’unico punto di contatto tra i due film); mentre il secondo è rappresentato dalla storia di una famiglia americana degli anni ’50: padre (Brad Pitt), madre e tre figli. Quest’ultima è costruita su più piani temporali e sconvolgendo l’ordine cronologico. Il film parte dalla morte di uno dei tre bambini, alternando il dramma alle immagini di uno dei figli già adulto (Sean Penn), e divenuto dirigente di una importante compagnia finanziaria (ma le coordinate del luogo in cui vive e del lavoro che fa non sono chiare: lo vediamo solo attraversare strutture urbane ultra-moderne e sedere in un ufficio ai piani alti di un grattacielo). Poi retrocede fino al Big Bang (letteralmente!) per raccontare, sempre con montaggio fortemente impressionista (azzeccatissima in questo senso la locandina del film composta da una miriade di minuscoli fotogrammi), l’origine della vita in generale e in particolare, dove il particolare è l’arco dell’esistenza del figlio maggiore di un uomo severo e di una madre dolcissima. E se nelle sequenze più visionarie Malick dimostra il suo talento astratto, in quelle familiari la sua sensibilità è commovente, in particolare nella descrizione del rapporto tra fratelli. La crescita è apprendistato alla vita, ovvero progressiva accettazione del perturbante, dalla consapevolezza che non siamo soli (la nascita del minore), a quella della deformità (il bambino ustionato) e della morte (il ragazzino che affoga in piscina).
Di fronte a tutto questo, e sapendo che si tratta del film più autobiografico di un uomo che rifiuta di farsi riprendere e fotografare, che considera la televisione diseducativa, e che è stato cresciuto con una rigida educazione cristiana, i fischi non solo sono incomprensibili, ma anche indice di una certa superficialità.
Per quanto ci riguarda Tree of life, oltre ad essere una impressionante esperienza estetica, è il film più personale, sincero e toccante che potessimo aspettarci oggi dall’autore de La Sottile Linea Rossa.
Cannes 2011 – The Tree of Life: un’Odissea nello spazio e nella famiglia per Malick
Panorami stellari, il Big Bang, i dinosauri, città ultra-moderne che sembrano aliene e il percorso di apprendistato alla vita di un ragazzino negli anni ’50. Tutto assieme nel film più atteso del festival, che mette assieme Brad Pitt e Sean Penn. Fischi inspiegabili alla proiezione stampa