Ci si domandava come mai Restless di Gus Van Sant, autore coi fiocchi, reduce tra l’altro da un film parecchio bello come Paranoid Park, qui a Cannes fosse finito fuori dal concorso principale. E la risposta è che dei due Van Sant che ormai conosciamo – ovvero lo sperimentatore (quello che ha incrociato come nessuno pura fiction e mockumentary in Elephant, Last Days e il citato Paranoid Park) e lo shooter (quello che gira piccole storie edificanti con mano neutra, vedi Will Hunting e Milk) – quello che è venuto a Cannes è il secondo.
Il film è un’onesta, onorevole variazione sul più classico dei melò: lui (Henry Hopper, figlio di Dennis) è bello, orfano e scontroso (è un po’ Pattinson insomma); lei (Mia ‘Alice in Wonderland’ Wasikowska) è dolce, eccentrica (passa i pomeriggi al parco disegnando uccellini) e con poco da vivere. Tutti e due sono molto giovani. Noi li scopriamo quando si incontrano al funerale di un estraneo, una passione condivisa e reiterata che fa tornare alla mente, con imprevisto effetto comico, Fight Club. Poi iniziano a frequentarsi; si raccontano i loro piccoli, giganteschi segreti da adolescenti; si innamorano; per un po’ evitano di pensare al fatto che lei ha tre mesi da vivere; poi gli tocca pensarci per forza. Tutto girato con un mestiere che sconfina nella furbizia, tra languidi sfondi musicali (brit pop a non finire), baci autunnali sotto alberi ingialliti, cappottini anni Settanta, e un’atmosfera generale vagamente Nouvelle Vague. Con una ammirevole attenzione a scansare almeno una parte dei cliché più triti e ritriti di questo tipo di storie.
Tanto per farvi capire di che parliamo: il terzo personaggio del film è il fantasma di un kamikaze giapponese. È l’amico del cuore del protagonista. E va in giro con la lettera che non ha spedito alla fidanzata prima di schiantarsi. Very, very cool.