Unlawful Killing di Keith Allen, presentato oggi al Mercato dei film di Cannes e in cerca di distributori, rischia, almeno per un giorno, di spostare l’attenzione dei media di tutto il mondo dal Festival vero e proprio al Marché. Si tratta infatti di un documentario d’inchiesta incentrato sulla morte di Lady Diana e Dodi Al Fayed, avvenuta il 31 agosto 1997 all’interno di un tunnel stradale, a Parigi. Nei giorni delle nozze del primogenito di Diana, William, l’argomento è tornato d’attualità – William ha tra l’altro preteso di sposarsi nella stessa cattedrale in cui fu celebrato il funerale di Diana, e non in quella in cui la principessa sposò Carlo, e ha donato a Kate come anello di fidanzamento lo stesso anello che era appartenuto alla madre, dichiarando che era un modo «per averla presente alla cerimonia» – ed è facile prevedere un buon futuro commerciale per il film. Che ricostruisce attraverso interviste e immagini di repertorio (ma non c’è nulla che non fosse già stato visto prima e altrove) la notte della tragedia, partendo dai molti aspetti oscuri messi in evidenza dall’inchiesta condotta, ben dieci anni dopo il fatto, dalla Royal Court of Justice di Londra. Un’inchiesta chiusasi senza colpevoli ma con un verdetto chiaro quanto inquietante, che in pratica conferma tutti i sospetti peggiori: “unlawful killing”, appunto, ovvero “assassinio”.
I punti attraverso cui si snoda l’inchiesta di Allen sono in gran parte già noti, ma messi uno dopo l’altro in sequenza e sostenuti dalle testimonianze di amici della coppia, intellettuali e giornalisti – oltre al padre di Dodi, Mohamed Al Fayed – definiscono un panorama di menzogne, reticenze e ipocrisie difficilmente smontabile e assai duro da digerire. La tesi è la solita: la monarchia inglese, non potendo né volendo accettare che Diana sposasse Dodi, mettendo eventualmente al mondo dei fratellastri musulmani del principe William (una delle tesi sostenute da una parte dei ben informati è che, all’epoca della morte, Diana fosse già incinta), avrebbe orchestrato con i servizi segreti inglesi un piano per far schiantare la sua auto nel sottopassaggio di una strada urbana parigina. Per farlo, avrebbe fatto circondare l’auto nella quale si trovavano Diana e Dodi da alcune moto e da un Fiat Uno Bianca e, al momento opportuno, avrebbe abbagliato l’autista con una luca molto violenta, spingendolo poi verso i pilastri di cemento. Una tesi che, oltre ad essere avallata dall’inquietante lettera scritta da Diana al suo maggiordomo e amico tre anni prima della sua morte (in cui diceva esplicitamente che i reali stavano progettando di farla morire in un incidente stradale), sarebbe confermata dalla testimonianza di alcuni presenti nel sottopassaggio al momento dell’accaduto e da una serie di riscontri emersi durante l’inchiesta citata. Tra questi la tempistica dei soccorsi (31 minuti solo per estrarre dalle lamiere la principessa, che in quel momento era ancora viva, e un’ora e 45 minuti per farla arrivare, ormai deceduta, in ospedale); le anomalie riscontrate nell’autopsia dell’autista (il medico legale avrebbe commesso 58 evidenti errori procedurali), tra l’altro dichiarato ubriaco dalle autorità (i giornali strillarono nei giorni seguenti “drunk as a pig”), mentre si dimostrò poi che aveva bevuto soltanto due bicchieri di bevande alcoliche nel corso di tutta la serata; e la inspiegabile solerzia con cui venne “bonificata”, ovvero ripulita di tutte le tracce, la zona dell’incidente, prima che potessero essere compiuti gli accertamenti del caso. Tante incongruenze e zone oscure, che a distanza di ormai 15 anni non smettono di smuovere le coscienze e agitare l’opinione pubblica, e che in Unlwful Killing sono raccolte con accuratezza, seppur in una forma cinematograficamente molto scarna. (Foto Getty Images)
Cannes 2011: Unlawful killing, ecco le “prove” che Lady D venne assassinata
Presentato al Mercato dei film di Cannes un documentario inglese che ricostruisce la morte della principessa alla luce di tutte le prove emerse durante l’inchiesta del 2007. Un’inchiesta che si concluse appunto con il verdetto “unlawful killing”, ovvero “assassinio”