Tommaso (Jacopo Olmo Antinori, faccia giusta ma recitazione impacciata) ha 14 anni e va dallo psicologo: i compagni di scuola gli stanno sulle palle e vuol andare a letto con sua madre. Sconfortato, arrabbiato, narcisista, decide che la settimana bianca della sua classe è un’occasione per mettersi da parte: saluta mamma, finge di salire sul pullman e invece si auto-reclude in cantina, dove lo attendono – in numero di sette – lattine di Coca Cola, succhi di frutta, merendine al latte, scatolette di Simmenthal. E poi un romanzo vampiresco di Anne Rice e un mega Tex a colori. Con i soldi della gita, si compra pure un formicaio sotto vetro, che piazza vicino al suo letto improvvisato: didascalia, “gli piace guardare tutti dall’alto”.
I piani glieli guasta però la sorellastra Olivia (Tea Falco, faccia giusta ma recitazione da mani nei capelli), diversamente legittima a parità di padre, che a suo tempo preferì la madre di lui, borghese nervosetta, alla madre di lei, vitale venditrice di scarpe (…). La ragazza, fotografa di talento finita in un brutto giro, sale a Roma da Catania in cerca di rifugio: vuole disintossicarsi dall’eroina per piacere a un uomo che, indovinate?, ha il doppio dei suoi anni (25). I due prima si urlano dietro, poi si calmano, si annusano, si piacciono, si aiutano e
SPOILER si salvano (nel film: nel breve best-seller di Ammaniti, che co-sceneggia, finiva male) FINE SPOILER.
Corpi acerbi, o appena sbocciati, la bellezza che è un impaccio per se stessi e un guinzaglio per gli altri, la prigione dei sensi e dei desideri: altri sognatori in cerca di un sogno, che Bertolucci accarezza/osserva/muove negli spazi chiusi ai quali si è votato dai tempi dell’Assedio (1998). E storia di un assedio è anche questo Io e te, fuori concorso a Cannes 65: quello di Olivia, al cuore di Tommaso. Cosa gliene venga di ritorno, cosa a sua volta la salvi, non è chiaro: Tommaso ruba un sonnifero per lei, la abbraccia, la accetta, ma sembra una sagoma, anche quando corre isterico per scaricare la tensione. E il film rimane sulla carta: tutte le relazioni sono un’ipotesi, l’illustrazione di uno stereotipo. Manca soprattutto l’energia vitale di The Dreamers: c’è l’imitazione, uno sforzo, ma è troppo evidente, mai naturale. Sembra un riciclo, i simbolismi sono poveri.
Sarebbe comunque bello Bertolucci continuasse a girare, perché il modo in cui lo fa, è sempre un piacere.
Voto: 2/5
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