Il passato di Asghar Farhadi (premio Oscar per il miglior film straniero nel 2011 con Una separazione) è stato presentato oggi nella sezione competitiva, ricevendo una buona accoglienza dalla critica.
Francia, Sevran (non lontano da Parigi). Marie (Bérénice Bejo ovvero la Peppy Miller di The Artist) va a recuperare all’aeroporto Ahmad (Ali Moussafa, marito dell’attrice di Una separazione), che quattro anni prima l’ha lasciata per tornare in Iran. La donna ha tirato su da sola le figlie: la piccola Lea e quella avuta del precedente compagno, la tormentata adolescente Lucie. Con l’addentrarsi nella trama si scopre che Ahmad ha lasciato la compagna, ma soprattutto la Francia per sfuggire a una depressione implacabile, decidendo infine di tornare in Iran e abbandonando tutti. Marie lo ha contattato per sancire il loro divorzio e rifarsi una vita con un nuovo partner, Samir (alias il Tahar Rahim di Il profeta). Nessuno dei due uomini vorrebbe condividere la casa con l’altro, ma Marie ha bisogno che Ahmad usi la sua influenza su Lucie per farle rimettere la testa a posto, dal canto suo Lucie non vuole che Samir prenda il posto di Ahmad, la persona più vicina a un padre che lei abbia avuto (più del vero genitore che vive a Bruxelles). La situazione famigliare già ingarbugliata è ancora più complicata di quanto sembri, perché Samir vive con Marie insieme al figlioletto Faour da quando la moglie ha tentato il suicidio rimanendo in coma vegetativo. La condivisione degli spazi, i segreti nascosti e le tensioni inevitabili faranno deflagrare le dinamiche interne a questa strana famiglia allargata.
Dopo il successo internazionale di Una separazione (Orso d’Oro a Berlino 2011 e Oscar come miglior film straniero) Fahradi affronta il suo primo film in lingua francese, non rinunciando al suo sguardo attento agli intrecci e ai contorsionismi necessari ai componenti di una famiglia allargata. Il passato del titolo (curioso che anche in Il grande Gatsby si dica: «Non si può rivivere il passato») è un fardello che modifica e struttura l’esistenza dei protagonisti con le sue inevitabili conseguenze, dimostra Fahradi. Il regista di Una separazione resta sempre uguale a se stesso e che giri a Teheran o in una suburbia francese, parte sempre da un divorzio per illustrare i tormenti interiori dei suoi personaggi. In quanto maestro nel raccontare i drammi, i litigi, gli scatti d’ira furiosi e repentini, che si svolgono tra un tinello, una farmacia e una lavanderia, sempre calato in una dimensione intimista che taglia fuori il mondo esterno. E tuttavia, esistono più drama, suspence, mistero e domande esistenziali nei suoi melò che in un qualsiasi film di genere pensato ad hoc.
Con lo svolgersi del film le vere motivazioni che hanno portato la moglie di Samir, fantasma che aleggia sulla coppia e sui loro figli, al suicidio si trasformano in un giallo che si amplifica. Perché si sarà uccisa? Per il litigio con una cliente furiosa a causa di una macchia indelebile di ferro da stiro? O più ragionevolmente per avere intuito della relazione clandestina tra Marie e Samir? E come è venuta a saperlo? Sono le domande che tutti i personaggi si fanno. Le domande più belle e pericolose sulla madre le fa il piccolo e triste Faoud al padre sulla banchina di una metropolitana. Per quanto la verità sembri farsi strada, non si giunge mai a una risposta definitiva e risulta evidente come i solidi convincimenti dei personaggi si infrangano contro il relativismo dello sguardo del regista, il quale – come nel romanzo pirandelliano Così è se vi pare – mantiene una sospensione del giudizio che non gli fa mai tranciare moralmente o stigmatizzare il comportamento delle sue “creature”. Fahradi è un entomologo (uno studioso degli insetti) dei sentimenti umani, che sulla scia di Kieslowski (Film rosso, bianco e blu) esplora i legami, le dinamiche interiori e i principi morali dei suoi protagonisti, inserendoli in un piccolo box da cui osservarli con la lente d’ingrandimento. Pur se Il passato non ha la dimensione da capolavoro di Una separazione – che è riuscito ad assommare in un solo film un dramma personale alla storia e ai paradossi della cultura iraniana – conferma la profonda ricerca di autenticità e partecipazione umana del suo cinema.
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