Cannes 2013, il reportage: Il cinema è salvo
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Cannes 2013, il reportage: Il cinema è salvo

Come il titolo dell'unico italiano premiato sulla Croisette, dove la Palma d'oro è stata assegnata a La vie d’Adèle di Abdellatif Kechiche. Qualità, temi forti, star di talento: quest'anno hanno vinto i film

Cannes 2013, il reportage: Il cinema è salvo

Come il titolo dell'unico italiano premiato sulla Croisette, dove la Palma d'oro è stata assegnata a La vie d’Adèle di Abdellatif Kechiche. Qualità, temi forti, star di talento: quest'anno hanno vinto i film

Ecco un estratto del reportage pubblicato su Best Movie di luglio:

Colpi di fulmine, passioni improvvise, opere prime sorprendenti, mai come quest’anno il programma del Festival di Cannes è stato il portavoce di un cinema d’autore vitale, trascinante, personale e fieramente indipendente. In cui opere autoctone e universali allo stesso tempo hanno saputo davvero dar voce a tutti gli angoli del mondo, pur non involvendo nella propria prospettiva culturale.
E sebbene sul tappeto rosso sotto gli occhi di Paul Newman e Joanne Woodward siano passate molte top star: da Leonardo DiCaprio a Justin Timberlake, da Marion Cotillard a Uma Thurman, da Tom Hiddleston a Orlando Bloom, a farla da padroni sono stati proprio i film. Importanti, impegnati, scottanti o scomodi e che infondono la speranza nella Resistenza di un cinema d’autore non schiavo delle logiche del marketing e azzavorrato da plot carta carbone e cliché.
Un’edizione raffinatissima, intelligente, anche provocatoria, che ha riaffermato il primato dei grandi autori, sia quelli acclamati e ottuagenari come Polanski che gli esordienti di primo pelo o i registi già sugli scudi, ma in cerca della consacrazione. Vedi alla voce Abdellatif Kechiche, francese sui documenti ma di essenza tunisina, che si è aggiudicato la Palma d’Oro per uno degli amor fou più belli che il cinema ci abbia mai raccontato. Non una semplice lesbo story, come sarebbe facile liquidare La vie d’Adèle, né un manifesto sulla diversità, ma una rappresentazione scenica che si fa vita stessa e invade occhi e cuore, con quelle due straordinarie protagoniste (Adele Exarchopoulos e Léa Seydoux) che sono diventate un tutt’uno con la storia e con il regista, tanto da aver indotto la giuria spielberghiana a includerle nel primo premio.
Non che a sommare tutte le opere insieme si possa parlare di una Neo-Nouvelle Vague, di un movimento unitario, sotto la cui egida militino i vari registi. 
Non si parla di uno stormo compatto, ma piuttosto di tante rondini indipendenti, che considerate però complessivamente fanno sicuramente parlare di una primavera del cinema autoriale.
Anche a livello di fil rouge, non è che si possa ravvisare una tematica predominante, anche se le vie del sesso – specie nella sua declinazione omosex (Adèle, Candelabra, L’inconnu du Lac…) – sono state battute con decisione e con artefici registici sofisticatissimi, in un momento in cui l’ufficializzazione delle nozze gay sta scaldando gli animi in Francia con tanto di dimostrazioni di piazza.
Un’altra costante drammaturgica è stata quella della violenza anarchica e irragionevole di una società in crisi nera: l’efferato Solo Dio perdona di Winding Refn, A Touch of Sin di Jia Zhangke, sullo sbando esistenziale della Cina contemporanea (Miglior sceneggiatura) o Heli del messicano Amat Escalante (premio alla Regia), violento e shockante, sebbene apprezzato dalla giuria. […]

(Foto Getty Images)

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