Si è parlato tanto di fantasmi durante questo Festival di Cannes, che quando poi i fantasmi arrivano non te ne accorgi: Clouds of Sils Maria di Olivier Assayas, ultimo film in concorso, è, tra le altre cose, il film che non è Maps to the Stars di Cronenberg e che avremmo voluto che fosse.
Maria Enders (Juliette Binoche) si sta recando a ricevere un premio alla carriera quando scopre che l’autore di una pièce in cui ha recitato quando aveva vent’anni, è morto. Nel frattempo un importante regista teatrale le offre di ritornare in scena con quello stesso lavoro, ma in una parte differente: non più la giovane Sigrid, ma Helena, la donna che per amore di lei perde la testa e si suicida. Sigrid sarà invece interpretata da Jo-Ann Ellis (Chloe Moretz), teen idol e star da cinecomic, al centro delle cronache per aver tentato di ammazzare il suo ex fidanzato. Maria parte allora per Sils, una vallata delle Alpi svizzere, dove inizia a provare la parte assieme alla sua assistente Valentine (Kristen Stewart).
Assayas racconta la recitazione (l’arte) mentre (non) accade, cioè quando esiste lontano dal palco e dalle riprese. Prima, quando viene pensata, contrattata, immaginata, provata su se stessi prima delle prove stesse. Dopo, quando è ormai sedimentata nella vita. E racconta pure il pubblico che siamo tutti, chi il cinema lo fa e chi lo guarda, cioè chi lo pensa, con tutti i pregiudizi, i cliché intellettuali, l’atteggiarsi, tutto il corteo di stupidaggini di cui il Festival è una meravigliosa vetrina. Per farlo non manda allo sbaraglio i suoi personaggi verso la resa dei conti e delle nevrosi (come fa Cronenberg), anzi li inscena in alta montagna in una cornice spettacolare, in pratica li rasserena – facendoli parlare e camminare -, fino alla loro risoluzione e alla sua letterale scomparsa. Affronta l’argomento con una limpidezza che ha solo un solo problema: c’è il rischio di prendere il film in senso letterale.
Se esiste qualcosa come un inconscio cinematografico collettivo, Clouds of Sils Maria è la cosa più vicina a rappresentarlo, e lo fa con immagini meravigliose e potenti (il serpente di nubi che corre per la valle e dà titolo alla pièce), dialoghi precisi e divertenti, due attrici bravissime (la Binoche e la Stewart, i cui duetti rappresentano l’80% del film).
Per me è la Palma d’Oro, ma probabilmente vincerà chi ha fatto il compitino per la maestra.
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