La crisi arriva anche al cinema, e i fratelli Dardenne la mettono in scena attraverso Sandra, madre di famiglia che ha solo due giorni, e una notte, di tempo per convincere i suoi colleghi a rinunciare a un bonus di mille euro per garantirle ancora il posto di lavoro. In Deux Jours, Une Nuit (guarda gli scatti più belli del photocall) viene messa in scena la fragilità dell’animo umano, minacciato dalla crisi economica e sull’orlo del precipizio della disperazione, dove la chiave verso la redenzione è solidarietà, capace di cambiare le persone rendendole migliori e mostrare al contempo i difetti dell’essere umano. Marion Cotillard è sempre splendida nel suo aplomb flemmatico e un po’ melenso con quell’aria un po’ maliziosa di chi sa che questa potrebbe essere la volta buona per vincere il premio alla miglior interpretazione femminile. Questo quello che ci hanno raccontato i protagonisti e i registi in conferenza stampa.
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Vi siete mai trovati in una situazione simile a quella del film?
Luc Dardenne: «Non ne abbiamo mai provato come nel film, e non avremmo mai fatto come nel film, saremmo stati più solidali indubbiamente. La crisi economica non deve inficiare la solidarietà fra colleghi, anche se questa solidarietà è un processo che va costruito. È stato sempre così anche nel passato, quando si facevano gli scioperi nelle fabbriche. È un impegno morale. Sandra non appartiene a nessun sindacato, ma cambia le persone solo parlando con loro».
È una storia reale o allegorica?
Jean-Pierre Dardenne: «L’idea è di far immedesimare lo spettatore nei panni di Sandra, cosa faresti al suo posto? La risposta in genere è quella che lei dà alla fine. Allegorico? Difficile da dire, noi vogliamo mostrare come la solidarietà possa cambiare le persone».
Ultimamente hai scelto ruoli di donne miserabili ma virtuose, delle vere eroine underdog, perché scegli questi ruoli?
Marion Cotillard: «Adoro le parti complesse. Queste sono donne che combattono per sopravvivere e scoprono cose di loro stesse senza quasi accorgersene. Sono toccata profondamente da queste sopravvissute: non riesco a trovare le parole giuste, sono commossa da persone che gestiscono e combattono nonostante tutte le avversità che trovano lungo il cammino. Ho imparato molto della condizione umana quando ho studiato queste anime».
Come sei entrata in un personaggio come Sandra?
MC: «Scopri qualcun altro e ti imbarchi in una nuova avventura perché ti innamori del personaggio, del regista. Non ho un processo specifico, dipende molto dal progetto, per questo mi piace il mio lavoro, è emozionante perché non so mai quale sarà il cammino per sviluppare la personalità del personaggio che dovrò interpretare».
Cosa ti attrae dei film dei fratelli Dardenne?
MC: «È stato il mio sogno, ho sempre voluto lavorare con loro. Ho sempre avuto la sensazione che nei loro film ci sarebbe stato un carico di lavoro molto alto per arrivare al loro livello. Quello che mi ha sempre colpito è che (e li ho visti e amati tutti!) senti un’emozione reale, forte, quasi fisica, sembra di essere sulle montagne russe!».
Avete scritto la storia pensando a Marion come protagonista?
LD: «È successo qualcosa: quando ci siamo incontrati con Marion, io e mio fratello ci siamo guardati negli occhi e abbiamo detto “vogliamo lavorare con te”, e lei ha detto che voleva lo stesso! Siamo arrivati insieme alla stessa decisione in maniera totalmente naturale. Siamo tornati a casa e abbiamo adattato la sceneggiatura a lei, costruendo il personaggio di Sandra pensando a Marion».