A vederlo ai photocall che gonfia i bicipiti sotto le maniche arrotolate della camicia, mostrando ad arte i piccoli tatuaggi che gli punteggiano le braccia, ci si fa un’idea abbastanza precisa del primo film da regista di Ryan Gosling: affascinante, ma narcisista e un po’ decorativo.
Girato nella periferia boscosa e alluvionata di Detroit, e ambientato nell’immaginario paesino di Lost River che dà il titolo al film, è incentrato sulle vicende di una donna (Christina Hendricks, che con Gosling aveva girato Drive) e dei suoi due figli – uno quasi maggiorenne, l’altro ancora piccolo -, e in particolare sul modo in cui la prima tenta di tirar su qualche soldo per ricomprarsi la casa che ha ipotecato. Intanto il ragazzo – che si chiama Bones, riferimento alla band di Gosling – prova a non farsi beccare da un tremendo bullo locale (Matt Smith) e cerca una soluzione per dare una mano a sua madre. Ma sul paese in rovina, gli spiega la stramba ma graziosa vicina di casa (Saoirse Ronan) che va sempre in giro con un topo in tasca, grava una maledizione che può essere neutralizzata solo nuotando sul fondo del fiume, alla fine di un sentiero di lampioni affondati nell’acqua e nella vegetazione, e staccando la testa a un demone di pietra.
A differenza di quanto era emerso durante i mesi della lavorazione, il film non è un vero fantasy, piuttosto un catalogo del macabro, raccontino allegorico che riflette il gusto per il gotico rurale di Gosling già emerso nei pezzi incisi con i suoi Dead Man Bones. Le parti più suggestive sono ambientate in un night club chiamato Sadismo, in cui una misteriosa maîtresse (Eva Mendes) mette in scena spettacoli di Grand Guignol, e assume la protagonista perché resti congelata in un guscio di plastica a farsi osservare e desiderare dai clienti del locale.
Le luci sono calde e violente, con una predilezione “refniana” per il flou, rosso e fucsia, mentre le musiche vanno dal synthpop (ancora Drive) all’indie folk. La somma è una fantasmagoria psichedelica a tratti gratuita e a tratti affascinante, che comunque sacrifica sempre i personaggi e la storia (chi ha letto la sceneggiatura mi dice che su carta la narrazione era molto più compiuta) al piacere della composizione formale.
Insomma: non è un capolavoro, ma voglio già rivederlo.
Nota: ieri sera, alla proiezioni di Gala del film, erano presenti in sala anche Nicolas Winding Refn, sempre più evidentemente il mentore artistico di Gosling, Wim Wenders e Willem Dafoe.
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