Cannes 2015: la recensione del film d'apertura La Tête haute, con Catherine Deneuve e Benoît Magimel
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Cannes 2015: la recensione del film d’apertura La Tête haute, con Catherine Deneuve e Benoît Magimel

Siamo dalle parti di Mommy di Xavier Dolan...

Cannes 2015: la recensione del film d’apertura La Tête haute, con Catherine Deneuve e Benoît Magimel

Siamo dalle parti di Mommy di Xavier Dolan...

Non è un film brutto, La Tête haute (A testa alta), apertura di questa edizione del Festival, ma è un film senza ambizioni, senza un’idea originale di cinema – che forse è anche peggio – assomiglia perfino a uno dei titoli più amati nella scorsa edizione, Mommy di Xavier Dolan.
Qui a Cannes sono bravi quasi in tutto, questo però gli riesce meno bene, decidere come iniziare. Di solito sono film americani (Robin Hood, Up!, Moonrise Kingdom), alle volte co-produzioni (Grace di Monaco), servono soprattutto a riempire di star il tappeto rosso. Stavolta invece il prologo è un’operetta sociale tutta francese, una specie di atto di umiltà, se accadesse a Venezia e fosse un film italiano sarebbe un film di Luchetti, e urleremmo tutti alla (nostra) miseria. Qui però in cartellone hanno una tale abbondanza, kolossal industriali (Mad Max, Inside Out) e grandi autori popolari (Woody Allen, Gus Van Sant), che ogni scelta è accettabile, sembra addirittura sofisticata.

Questa, in particolare, è la storia di un adolescente figlio di una sbandata, un ragazzino che non sa controllarsi, ruba la auto, mena le mani, entra ed esce da riformatori e centri di recupero, alla fine anche dalla prigione. Si racconta soprattutto il suo rapporto con le istituzioni, la Giudice che lo segue per oltre dieci anni (Catherine Deneuve), l’assistente sociale che ha un passato simile al suo e si identifica (Benoît Magimel), gli educatori: nessuno vuole voltargli la faccia. L’idea è quella di uno Stato-famiglia che non lascia indietro nessuno (si chiude con la bandiera francese in bella vista), e insistere sui colpi di matto del protagonista fin quasi all’epilogo serve a renderlo intollerabile, a mettere lo spettatore progressista di fronte alla scelta sociale e obbligarlo a prendere posizione.
Film lungo, non dilatato ma comunque faticoso, interamente costruito sul messaggio, coinvolgente solo a tratti come sempre i manifesti civili.
Regia elementare, tutta addosso agli attori, comunque bravissimi.

Voto: 3/5 

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