Euforia di Valeria Golino è l’unico film italiano in concorso nella sezione Un Certain Regard a Cannes 2018.
È una Valeria Golino pacata e gentile, improntata a una dolcezza candida e istintiva verso tutti i suoi collaboratori e irrimediabilmente innamorata della propria storia, quella che ci racconta Euforia, la sua interessante opera seconda da regista, che arriva a cinque anni di distanza dal già sorprendente Miele, con protagonista Jasmine Trinca (che torna qui in un piccolo ruolo), anch’esso presentato a suo tempo sulla Croisette in Un Certain Regard.
I protagonisti, stavolta, sono due fratelli, interpretati da Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea: una strana coppia solo in partenza, che trova in realtà sul grande schermo, anche grazie alla mano attenta e alla sensibilità di tocco della regista, un’alchimia originale, spiazzante, tutta sua.
Scamarcio è un giovane imprenditore, spregiudicato e aitante, sicuro di sé al limite dell’autoparodia, tant’è che si rivelerà foderato di una corazza sproporzionata perfino al cospetto di un evento che getterebbe chiunque nel panico. Mastandrea, invece, è un professore delle medie, grigio e dimesso, anche lui alle prese con una fase di transizione della propria vita.
Descrivendoli così, si capisce come entrambi i personaggi siano stati cuciti su misura agli attori che li interpretano (o viceversa?), con un’operazione mimetica che è merce rara nel nostro cinema e che getta una luce insolita su un film che, proprio come Miele, che parlava di suicidio assistito, si permette il lusso raro di affrontare i tabù della malattia e della morte con sguardo impudico, ordinario, ma anche con vitale spregiudicatezza. Con una speciale, inaspettata forma di euforia.
Abbiamo incontrato la regista e il cast del film al gran completo su una terrazza dell’hotel JW Marriott, con vista panoramica sul Boulevard de la Croisette di Cannes, nel giorno della première mondiale del film, che 01 distribuirà nelle sale italiane nel corso del 2018. Ecco, per ciascuno di loro, quanto hanno dichiarato.
Valeria Golino
«Scherzando potremmo dire che il mio non è Lazzaro felice, come il film di Alice Rohrwacher, ma Lazzaretto infelice! Prima di venire qui a Cannes mi sono slogata la caviglia, Valerio (Mastandrea, ndr) ha mal di schiena e un sacco di gente si è fatta male per il film. Gli attori dopotutto sono sempre i co-autori di un’opera, anche quando costretti a soffrire: se un regista non lo ammette o è in cattiva fede o non se ne accorge. Non so se questo film forma con Miele un dittico della malattia e della morte, ma mi piace pensare sia così. Quando le cose esistono il loro senso diventa poi evidente. Il mio direttore della fotografia ungherese (Gergely Pohárnok, ndr), leggendo la sceneggiatura che gli avevo mandato, mi ha risposto dicendomi che la superstar del copione, per lui, era la morte. Qualcosa vorrà dire. La morte è la ragione più profonda delle nostre paure, ma è un tabù. Se la cerchi, nella società di oggi, non la trovi, e vale anche per la malattia. Questa storia però nasce anche dai racconti di persone a me care, anche se non è autofiction. Per una scena ci siamo perfino ispirati a una baruffa telefonica tra Jasmine (Trinca, ndr) e Riccardo (Scamarcio, ndr). Ho pensato questo film per l’Un Certain Regard, forse perché voglio ancora starmene un po’ a lato delle cose, fare il mio da una posizione defilata».
Valerio Mastandrea
«Nel film io ho tolto molto, nei dialoghi, mentre Riccardo ha aggiunto. Io mi sono costruito una carriera sul togliere, ma sono anche stanco di farlo! Riccardo, oltre a darmi degli schiaffi da fratello maggiore, sul set tentava costantemente di far venir meno una concentrazione in me già precaria facendomi vedere video di Lino Banfi…Credo che per lui sia stato il personaggio più difficile che abbia fatto nella sua brevissima carriera! (scherza, ndr). Avere tra le mani un film così, con una regista come Valeria e con me vicino non gli capiterà più! Il personaggio di Riccardo è uno specchio degli altri, mi sono accorto che nelle interviste parlo molto del suo ruolo perché ha dentro tanto umanità che non frequento ma riconosco. Il minimo comune denominatore di queste persone è una fame atavica per la vita, una bulimia che però poi fatica a entrare in contatto con le cose davvero importanti, con le emozioni, con le persone».
Riccardo Scamarcio
«I dialoghi belli ed efficaci erano già in scrittura. Il testo era anche letterario, non proprio colloquiale, non certo alla parliamo come mangiamo. La fatica e la sfida sono state quelle di renderlo naturale, corale, appassionato e violento a seconda delle situazioni, ma rispettando la complessità di quello che viviamo come persone e come personaggi. Il mio personaggio ha armi per vincere tutto e cerca di metterle in campo, ma l’unico modo per vivere davvero è spogliarsi di tutto quello che crede di aver raggiunto nella vita. I film sono un’alchimia. Qui è scattata l’euforia per davvero, ci conosciamo tutti bene e abbiamo cercato di lavorare mettendo in gioco anche delle emozioni personali e già vissute. Andandole anche a ripescare, magari nella nostra parte emotiva più profonda. Tutti suoniamo in una frequenza diversa dalla nostra abituale, nel film, in una chiave tarata su un’altra tonalità. In ogni scena c’è come una vibrazione particolare tra tutti e questa cosa è data dalla regista, che è il primo spettatore del film».
Valentina Cervi
«Non mi ero mai sentita così desiderata come su questo set con Valeria, che è andata in alto, ha squarciato un velo dissacrando la spiritualità in maniera così buffa. Il mio personaggio lei lo definiva svolazzante e il film, attraverso tutti noi, crea una specie di piccolo universo alla Malick».
Isabella Ferrari
«Valeria è un mia amica del cuore da sempre, avevo paura di deluderla e quindi mi sono impegnata al massimo. Essendo un’attrice che stimo molto e una donna intelligente che rappresenta molto di quello che vorrei essere, mi sono affidata al suo sguardo acuto, al suo gusto. La mia è una donna abbandonata, da suo marito, dalla morte imminente, ma nonostante questo è accolta dalla famiglia, da qualche parte ancora amata. Valeria svolazza sopra la vita e amo questo di lei, dentro il nostro gruppo di amici porta la parte ludica. Mi ha messo in un binario di semplicità totale. Ho visto il film solo pochi giorni fa e il suo desiderio di vita e felicità mi ha sorpreso ed emozionato».
Jasmine Trinca
«Anche in questo film, come in Miele, si è chiamati a guardare in faccia qualcuno che muore. Valeria è eccezionale perché è un direttore d’orchestra che non ha per niente questa consapevolezza, la stessa naiveté con cui scatta una foto a qualcuno o scarabocchia delle cose su un foglio, che sono il suo inconscio, è poi quella che ritrovi nel suo lavoro. Voi vedete un bel film, io che conosco Valeria ci vedo tutta se stessa. Trovo però che in questo film si veda in filigrana anche tanto di tutti noi attori come persone. Io conosco molto bene anche Valerio, suo malgrado, e gli ho confidato che vederlo in questo film mi ha quasi imbarazzato, per non parlare dell’energia di Riccardo».
Foto di copertina: Getty Images
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