Non solo proiezioni: il secondo giorno di Cannes 2019 è stato anche l’incontro organizzato da Mastercard, sponsor ufficiale della kermesse francese, per parlare dei nuovi sguardi cinematografici e del futuro della narrazione audiovisiva. Per farlo sono stati convocati tre ospiti internazionali d’eccezione, tutti presenti sulla Croisette con i loro nuovi progetti: il regista canadese Xavier Dolan, in concorso con Matthias et Maxime; il cineasta tedesco Werner Herzog, fuori concorso con Family Romance, LLC; e l’attrice americana Julianne Moore, protagonista del mediometraggio The Staggering Girl di Luca Guadagnino, in programma alla Quinzaine des Réalisateurs.
La prima domanda verte su come si sono avvicinati al mestiere. Inizia Julianne Moore: “Ho iniziato a recitare a scuola, mi serviva un’attività extracurricolare ed ero negata per lo sport. Mi piaceva molto leggere, e recitare è un po’ come essere in un libro. All’inizio però pensavo che avrei fatto il medico.” Per Herzog il percorso è stato atipico, essendo lui cresciuto in un paesino bavarese dove non c’era nemmeno l’acqua corrente: “Avevo undici anni quando ho scoperto che esistevano i film. Da piccolo sognavo di fare l’atleta.” Chiude Dolan: “Ho iniziato come attore, già da bambino. All’età di sedici anni pensavo che non mi avrebbero più assunto per recitare, e così iniziai a scrivere la mia prima sceneggiatura, J’ai tué ma mère (presentato a Cannes nel 2009, n.d.r). Mi dissi che se avessi fatto il regista nessuno mi avrebbe detto che non c’era una parte giusta per me. La mia formazione cinematografica è arrivata tardi, e ci sono tanti grandi film che devo ancora vedere, perché ho passato gli ultimi dieci anni a girare i miei.”
È interessante soprattutto il confronto tra il veterano Herzog, classe 1942, e il più giovane Dolan (ha da poco compiuto trent’anni), per quanto riguarda le nuove tecnologie: “Adesso giro in digitale, ma continuo a trattare il materiale come se fosse in pellicola”, spiega il regista tedesco. “Ogni secondo di riprese è importante, e dico ai miei direttori della fotografia di spegnere la macchina da presa quando ho quello che mi serve, perché siamo cineasti, non netturbini. Per il mio nuovo film di finzione, presentato qui a Cannes, ho girato un totale di 300 minuti. Minuti, non ore!” Ribatte Dolan: “La nuova tecnologia è molto importante, ma dovrei parlare a nome di altri registi, perché io sono molto più legato alle tradizioni: ho girato il mio primo film in digitale per motivi economici, ma dal secondo in poi sono passato alla pellicola, in tutti i formati possibili. Non penso che sia l’unica modalità, ma personalmente preferisco la pellicola. Se vedo un film d’epoca e riconosco la macchina da presa digitale, mi sento un po’ straniato.”
Il canadese si pronuncia anche sulla questione spinosa – soprattutto a Cannes, dove i film in concorso devono per forza uscire al cinema sul territorio francese – dei servizi di streaming: “Per me le piattaforme digitali possono coesistere con la sala, ma l’esperienza collettiva rimane qualcosa di speciale. È molto più bello sentire le risate degli altri in sala che ridere da solo, sul divano, mentre guardi Netflix. Non che io sia contrario a Netflix, sono abbonato, ma la sala è tutt’altra cosa.” I due cineasti evocano anche il concetto di sguardo e più precisamente di lente, strumento citato nello slogan di Mastercard: “Per me il contenuto detta la forma”, sostiene Herzog. “Non discuto mai con i direttori della fotografia sul tipo di lente da usare per questo o quel progetto, perché so esattamente cosa mi serve e come ottenerlo.” Dolan si spinge in territori più metaforici: “Ognuno ha la propria lente, per così dire. Io vedo il mondo in un certo modo, e invito le persone a condividere quell’esperienza. Detto questo, non so esattamente come lo vedo, perché ogni volta che giro un film imparo qualcosa di nuovo, incontro qualcuno di nuovo.”
Herzog si sfoga ulteriormente sul rapporto tra realtà e finzione: “Non sopporto la nozione del regista invisibile quando si gira un documentario. I miei documentari sono film di finzione sotto mentite spoglie, perché ho un punto di vista, e a volte modifico i fatti per arrivare alla verità.” Interviene Moore: “E in ogni caso, quando c’è di mezzo una macchina da presa, non è più la realtà. Io odio il B-roll, quando quelli del marketing vengono sul set per girare il dietro le quinte. Mi dà proprio fastidio.” Herzog risponde, ridendo: “Non dovrebbero essere ammessi sul set a prescindere. Bisognerebbe mandarli tutti in vacanza su un’isola.”
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