Lorenzo Mattotti è senza dubbio uno dei più grandi animatori e illustratori della contemporaneità e in passato ha avuto modo di lavorare con un trittico di registi come Michelangelo Antonioni, Wong Kar-wai e Steven Soderbergh (sue le sequenze che legavano tra loro gli episodi del film collettivo Eros), ma anche con Enzo D’Alò per il suo Pinocchio e a un segmento del film d’animazione Peur(s) du noir – Paure del buio.
Il grande passo alla regia in solitaria è finalmente arrivato con La famosa invasione degli orsi in Sicilia, tratto un racconto illustrato di Dino Buzzati, pubblicato nel 1945 a puntate sul Corriere dei Piccoli, che ha anche provveduto a sceneggiare insieme a Jean-Luc Fromentale e Thomas Bidegain. Si tratta di un film d’animazione dai contorni magici, con protagonisti un cantastorie di nome Gedeone e sua figlia Almerina, che lungo il loro cammino s’imbattono in un orso all’interno di una caverna.
Il gusto dell’operazione, pienamente soddisfacente sul piano grafico e visivo, è piuttosto retrò, ma poggia su delle sequenze fiabesche di buon impatto, in termini di fantasia, tratto del disegno, sviluppo delle coreografie e del loro dinamismo interno. Non poco per un prodotto di questo tipo, dato che sono proprio questi i terreni di sfida e di confronto sui quali l’animazione contemporanea si gioca molte delle sue chances di originalità e sopravvivenza.
La famosa invasione degli orsi in Sicilia è, prima di tutto, un film sul piacere della narrazione: le storie chiamano altre storie, i racconti orali si fanno dedalo in cui ritrovare il filo del discorso, il sopravvissuto senso della poesia e il desiderio di tornare a sedere intorno a un racconto condiviso, magari capace di accendere il cuore e anche la mente.
Ne viene fuori un’affabulazione adatta, come si suol dire in questi casi, a grandi e piccini, ma per una volta non è uno stereotipo buono per tutte le stagioni: i più adulti potranno soffermarsi di più sul clima bellico che aleggia nell’adattamento da Buzzati, mentre il pubblico infantile avrà modo di abbandonarsi a un puro piacere visivo da cui comunque non è affatto escluso chi ha qualche anno in più, e che solo ha tratti si fa scudo di uno stupore un po’ meccanico, che sospende la sospensione dell’incredulità in nome di una “bella forma” un po’ impassibile.
Il paesaggio siciliano, in compenso, nella sua compresenza irripetibile di mari, pianure e montagne, ha un gusto molto colorato e insieme genuinamente astratto, che si presta molto bene a leggere gli spazi come non-luoghi e dunque ad alimentare le possibilità di una lettura politica dell’insieme. Con la magia sempre pronta a cambiare di segno e di colore a seconda delle situazioni e gli orsi impegnati in un’evidente ridefinizione progressista della realtà.
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