Non si può parlare di Jean-Luc Godard senza porsi un problema di linguaggio, tanto più dopo che lui al linguaggio ha dato un addio esplicito con il suo ultimo (in ordine di tempo) film (Addio al linguaggio, 2014). Ma l’addio è stato lungo, ed è cominciato proprio nel periodo che il film di Michel Hazanavicius, Le Redoutable, presentato ieri in concorso al Festival di Cannes, prende in esame. Siamo a Parigi, nel 1967, Godard (Louis Garrel) ha trentasette anni e sta girando La cinese.
La protagonista è la moglie Anne Wiazemsky (Stacy Martin), appena maggiorenne, appena sposata. Il film viene accolto male da tutti – critica, pubblico, dai cinesi stessi (“Se potessero, ne proibirebbero il titolo”), il direttore di un piccolo Festival che lo proietta ne dimentica il nome e poi si addormenta a metà della visione. Le reazioni al suo lavoro e, l’anno dopo, le contestazioni sessantottine, portano Godard a rifiutare tutto il suo passato di autore, radicalizzando la sua idea di cinema rivoluzionario che porterà all’esperienza del collettivo Dziga Vertov.
Come mettere in scena la biografia di un regista/monumento che, da parte sua, rifiuta l’idea stessa del monumento e di un cinema che mette in scena la biografia di un regista? Come affrontare la questione formale – linguistica appunto – sapendo che in un film su Godard la forma è per forza anche contenuto, e viceversa? Sulla carta è un’impresa impossibile, qualsiasi risultato è destinato a essere bersagliato dai pomodori della critica.
Ma Hazanavicius, che non ha pretese da filosofo politico e del pubblico si (pre)occupa sempre, fa quello che sa fare meglio, cioè scompone e rimette assieme le forme del cinema che è stato (come aveva fatto col muto in The Artist) barando clamorosamente ma creando un’esperienza cinematografica ricca e paradossalmente onesta. Oltre che divertentissima.
Citando in modo divertito, a volte letterale e a volte no, le immagini e i tranelli del cinema di Godard, affrontandolo in modo “grafico” e attraverso la commedia, Le Redoutable assomiglia mille volte di più a un fumetto per ragazzi che a un saggio accademico, pare ad esempio uno dei biopic disegnati da Tuono Pettinato – ha quella leggerezza lunare, quella serenità indifferente al contesto, anche nei momenti teoricamente drammatici. E mentre invoglia a recuperare il cinema di Godard stesso, produce per gli spettatori di oggi un’idea di senso a partire dal suo discorso politico.
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