Le otto montagne, il film diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch presentato in Concorso al 75esimo Festival di Cannes, è tratto dall’omonimo libro di Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega nel 2017. Il cuore del romanzo e anche del lungometraggio, che lo traspone fedelmente, è l’amicizia decennale tra Pietro e Bruno, interpretati nelle loro versioni adulte da Luca Marinelli e Alessandro Borghi, che tornano a lavorare in coppia sette anni dopo le loro folgoranti prove in Non essere cattivo di Claudio Caligari.
Pietro è un ragazzo di città, che si reca in montagna solo per trascorrere le vacanze estive, mentre Bruno è un pastore che vive tutto l’anno tra i monti, anche se non vuole sentir parlare di “natura”, ritenendolo un termine troppo astratto, usato soltanto da coloro che i pascoli, i ruscelli e i rilievi montuosi non li conoscono davvero e forse non li hanno mai davvero visti in vita loro. I due si conoscono fin da bambini, quando trascorrevano le giornate in mezzo alle montagne per lunghe passeggiate in compagnia del padre di Pietro (Filippo Timi), stringendo una forte amicizia destinata a durare, tra alterne vicende e situazioni di necessità, per tutte le loro vite.
Vent’anni dopo la loro conoscenza, ritroviamo un Pietro ormai adulto, alle prese con le fatiche da scrittore e intento a fare ritorno in alta quota per ritrovare se stesso e fare definitivamente i conti col suo passato. Il loro incontro li porterà a sperimentare l’amore e la perdita, riconducendo ciascuno alle proprie origini e facendo sì che i loro destini si compiano, mentre scopriranno cosa significa essere amici per sempre.
«Quella de Le otto montagne è un’ amicizia molto tenera tra due uomini, per me non è stato importante che fossero uomini e donne ma ho apprezzato tantissimo il reciproco rispetto di Pietro e Bruno, il modo di parlarsi l’uno con l’altro, l’assenza di competizione – ha detto in conferenza stampa la regista Charlotte Vandermeersch – Io e Felix abbiamo amato la purezza di queste due persone che perdono le loro tracce, li seguiamo e poi si ritrovano, è una storia epica che tocca i temi più essenziali della vita. Relazionarci l’uno con l’altro nello scriverlo e dirigerlo ci ha portato a riflettere su amore, famiglia, genitori, destino, vita e morte, e sul trovare il proprio destino. Nella storia c’è anche la relazione padre-figlio, perché il padre in questa storia va “ucciso” a un certo punto, però l’abbiamo pensata sopratutto come una storia d’amore, come quando vediamo degli amici perdersi e poi ritrovarsi. Un vero viaggio esistenziale, nel quale per quanto ci riguarda comprendere la lingua era fondamentale per immergerci in questa comunità».
«Abbiamo letto il libro due anni fa e incontrato il produttore italiano, che ha pienamente abbracciato il progetto, portandoci a lavorare velocemente sulla sceneggiatura – dice invece Van Groeningen, già dietro la macchina da presa per Alabama Monroe, Una storia d’amore e Beautiful Boy – Volevamo fare questo progetto in Italia e in italiano e per immergerci completamente nella cultura del paese dovevamo conoscere un nuovo mondo e una nuova lingua. Luca e Alessandro sono gli attori più talentosi della loro generazione in questo momento in Italia, Luca era molto innamorato del progetto e ha avuto grande fiducia in noi. Siamo arrivati sulle montagne durante il secondo lockdown, e non c’era molta gente, ma anche in un punto del libro a dire il vero c’è un passaggio sulla perdita di civilizzazione delle Alpi italiane. Durante la lavorazione ci siamo resi conto anche che le montagne appaiono meglio sullo schermo se inquadrate in formato 4:3 piuttosto che in widescreen, perché è impossibile catturare completamente le montagne».
Le otto montagne è prodotto prodotto dall’italiana Wildside con Vision Distribution, che lo distribuirà al cinema in autunno in una data ancora da definire (è tra l’altro la prima volta al Festival di Cannes per un prodotto Vision), e ha per protagonisti i due volti più riconoscibili e apprezzati del nuovo star system italiano. Essere a Cannes insieme e aver solcato fianco a fianco la la montée des marches del red carpet più prestigioso della cinematografia mondiale è, per Borghi e Marinelli, un’ulteriore consacrazione e anche il coronamento del loro legame professionale e della relativa amicizia fuori dal set.
«Non essere cattivo, un film molto importante, per me e Luca, è stato sette anni fa, ma Pietro e Bruno hanno qualcosa in comune con quei personaggi, se invertiamo i loro dettagli emotivi – spiega Borghi ai giornalisti a Cannes – Amo questo personaggio per cui non ho dovuto impormelo, ed è una grande base sulla quale lavorare per costruire qualcosa di il più possibile vicino alla realtà, che è anche ciò che cerco ogni volta quando scelgo un ruolo. Avevamo delle buone fondamenta per costruire qualcosa di importante con questi due personaggi, insieme ai due registi, entrambi fantastici, e alle montagne, che fin dall’inizio sono le vere protagonista della storia. Abbiamo avuto l’opportunità di stare tra le montagne, di viverle, e c’era una grande guida come Paolo Cognetti, l’autore del libro. E così tutto è accaduto, è stata una continua scoperta di qualcosa. Ogni volta che ci sentivamo un po’ persi ci bastava ricordarci che ci amavano l’uno con l’altro e tutto diventava semplice».
«Con Alessandro c’è già una grande amicizia fraterna e abbiamo usato questo filtro per costruire quest’altra amicizia, quella tra Pietro e Bruno – aggiunge Marinelli – In un certo senso è stato semplice, pur dovendo interpretare due persone completamente diverse da noi, ma l’abbiamo fatto mano nella mano, come fu sette anni fa per Non essere cattivo. Dopo sette anni di vita professionale distanti l’uno dall’altro, nei quali ognuno ha fatto il suo percorso, ci siamo ritrovati invece su queste otto montagne insieme ai registi, che voglio ringraziare per l’onestà, il coraggio e il cuore».
«Per me il metodo non vale, ho bisogno di dividere la vita reale dal personaggio, a volte può confondere mischiare le due cose – precisa infine Borghi a proposito del suo approccio alla recitazione e al personaggio di Bruno, per cui si è molto speso recitando, da romano, con un forte e perfettamente credibile accento del Nord Italia – Alla fine della giornata dobbiamo andare in banca, dal ragioniere, fare molte cose, non è possibile recitare il personaggio anche nella vita. Questo viaggio incredibile è stato pieno di amore e di fiducia, per cui si trattava solo di prendere e agire, non abbiamo parlato molto dei personaggi sedendoci a tavolino. Era più: “Hai un’idea? Fallo, se va bene va bene altrimenti la cambiamo”. Tutto ciò è possibile nutrendo molta fiducia nell’altro fin dall’inizio, che è un punto di partenza fondamentale in questo lavoro. C’è bisogno di eliminare il giudizio, le sensazioni dell’ego, e alla fine del film ho pensato che sarebbe stato bello avere la possibilità di girare altri due anni, anche se il produttore Mario Gianani ovviamente non era d’accordo!».
Foto: Getty (Dominique Charriau/WireImage)
Fonte: Festival de Cannes
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