A Milano è in scena in questi giorni Cannes e Dintorni, la rassegna che propone – poche settimane dopo la fine della kermesse francese – il meglio dei film passati sulla Croisette. Un’occasione cinefila preziosa che già quest’anno stava per scomparire, non fosse stato per la generosità di un privato – rimasto anonimo – che ha deciso di sostenerla economicamente. Noi, proprio qui, abbiamo avuto la posibilità di recuperare uno dei film-caso del Festival di quest’anno, accolto alla proiezione ufficiale in Francia dagli aplausi più lunghi e calorosi delle due settimane di proiezione. Ecco il nostro racconto.
15 minuti di applausi, sorrisi e qualche lacrima. Film di chiusura della Quinzaine des Réalisateurs, è stato accolto così a Cannes 2014 Pride di Matthew Warchus, storia vera di lotta e amicizia, scioperi e raccolte fondi, avvenuta tra il Gay Pride di Londra del 1984 e quello dell’anno successivo.
Mentre al telegiornale e nelle strade la Thatcher continua la sua battaglia senza esclusione di colpi con i minatori, un gruppo di attivisti del movimento gay drizza le orecchie e riconosce in quella lotta la propria, lo stesso avversario politico. Il giovane Mark (bello e bravo Ben Schnetzer), in particolare, mette in piedi con alcuni amici una colletta per sostenere i minatori. È il primo passo. Altri ne seguono, fino a che non nasce il LGSM (Lesbians and Gays Support the Miners). Ma pure la solidarietà è meno semplice di quel che sembra, e il National Union of Mineworkers (NUM), organismo a suo modo conservatore, rifiuta l’aiuto, imbarazzato nel ricevere denaro che abbia quella particolare provenienza. A questo punto gli sforzi dell’LGSM vengono indirizzati a Dulais, uno sperduto paesino nel Galles, il primo ad accettare fondi raccolti da mani omossessuali. In particolare è Dai (Paddy Considine), minatore e membro del comitato di paese, a fare da intermediario tra i due gruppi: pure qui, infatti, non sono poche le resistenze di chi si considera troppo “macho” per accettare aiuto da giovani gay e lesbiche.
Ma l’impulso decisivo al cambiamento arriva per mano e cuore delle donne dell’organizzazione dei minatori: madri, mogli, compagne, amiche, divenute l’unica forza di sostentamento per migliaia di famiglie in un periodo di crisi drammatica. Saranno loro – lì a Dulais e poi oltre – a ricordare per che cosa si sta combattendo. E a intonare, in una scena carica di emotività e determinazione, “Bread and Roses”, la canzone simbolo del movimento operaio, ma anche di quello femminista, in tutto il mondo.
Il regista Matthew Warchus ci mostra la collisione di due mondi alieni e affini, collegati dall’intelligenza e dalla solidarietà di alcuni uomini, e da una strada percorsa in Mini Van che attraversa la campagna inglese. Due comunità in lotta, fiere della loro appartenenza e dei loro ideali, convinte dei loro diritti, ma ancora distanti sui margini dell’orizzonte sociale desiderato. Lo spettro dell’omofobia, della malattia (sono gli anni in cui esplode la paranoia dell’AIDS, il “cancro degli omosessuali”, come viene definito all’epoca e ben raccontato nel tv movie HBO The Normal Heart, di cui si è parecchio parlato ultimamente), dei ricatti tatcheriani, saranno il contesto su cui infine si stringerà un alleanza preziosa: i minatori non dimenticheranno l’aiuto ricevuto, e nel Gay Pride del 1985 affiancherano gli attivisti omosessuali in testa al corteo, manifestando gratitudine, emancipazione e idee nuove.
Pride si accoda al filone della dramedy politica d’Oltremanica, da Full Monty a Billy Elliot, fino a Grazie, signora Tatcher, manifestando una volta di più una scrittura divertente e sensibile, dove i toni non vengono mai calcati. Una storia vera e importante, che merita di essere raccontata e conosciuta: “Hearts starve as well as bodies; give us bread, but give us roses”.
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