Captain Phillips: dopo Rush e Gravity, il cinema americano sforna un altro capolavoro. La recensione
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Captain Phillips: dopo Rush e Gravity, il cinema americano sforna un altro capolavoro. La recensione

Tom Hanks è il comandante di una nave mercantile presa in ostaggio da quattro pirati somali, in un thriller politico mozzafiato

Captain Phillips: dopo Rush e Gravity, il cinema americano sforna un altro capolavoro. La recensione

Tom Hanks è il comandante di una nave mercantile presa in ostaggio da quattro pirati somali, in un thriller politico mozzafiato

Premessa: è un film di pirati, ma Jack Sparrow non centra nulla. I pirati in questo caso vengono dalla cronaca, sono somali, e al largo del Corno d’Africa sequestrano grandi navi mercantili. La storia raccontata in Captain Phillips è vera e segue di un anno appena un altro gran bel film sul tema – A Hijaking, danese -, visto al Festival di Venezia e tra le cose migliori di tutto il 2012. In quel caso la cronaca del sequestro copriva diversi mesi ed era il resoconto di una interminabile trattativa telefonica tra i proprietari del cargo e i pirati, mentre l’equipaggio marciva nella stiva.
Captain Phillips prende tutt’altra direzione. Intanto cambia il punto d’origine del racconto, arretra: si sveglia il comandante Phillips (Tom Hanks, eccezionale, finalmente tornato a un ruolo alla sua altezza), nel suo letto, e viaggia verso l’aeroporto con la moglie. Si svegliano i ragazzi somali, adolescenti pescatori o ventenni affamati, e sulla spiaggia sono radunati e arruolati da truppe paramilitari. Vogliono tutti salire sulle barche che partono armate per il largo, agitano le braccia, sembrano gli operai di Fronte del porto di Kazan.
Ma soprattutto cambia l’atteggiamento dei protagonisti: gli americani – rispetto ai colleghi scandinavi – sono scaltri, uniti e combattivi. Prevedono e poi respingono a più riprese l’abbordaggio e, quando capitolano, continuano comunque una forma di resistenza attiva. Di più non diciamo, meglio che sia tutta una sorpresa. Soltanto questo: la parte action-thriller del film è spaccata in due – cambia l’ambientazione ma resta una battaglia di pochi uomini con motivi simili e diversi, uno scontro di fucili arrugginiti e volontà di ferro.

Un film del genere, a saperlo prima, vorresti solo che lo girasse Paul Greengrass: e infatti, grazie al cielo, lo gira lui. Greengrass sa fare meglio di chiunque altro al mondo una cosa: trasformare la cronaca in thriller politici mozzafiato. In questo è più bravo perfino della Bigelow, che comunque con The Hurt Locker e Zero Dark Thirty non c’è andata tanto lontana. Ha cominciato a farlo con Bloody Sunday nel 2002, l’ha rifatto con Green Zone nel 2010: tra i due, insieme ai film della saga di Bourne, ha girato un titolo che a Captain Phillips assomiglia moltissimo: United 93, sull’unico aereo che l’11 settembre 2001 venne sottratto al controllo dei dirottatori dall’azione congiunta dei passeggeri. In Captain Phillips, come in United 93, quello che impressiona di più è come si finisca inchiodati alla poltroncina da pochissime cose, magari dieci persone e cinque location, ovvero immaginari che – anche se potenti – sono “fisicamente” ridottissimi (a pensarci, era lo stesso per Gravity e All is Lost).
A Greengrass piace poi che i film siano cammuffati da incursioni giornalistiche, che sembrino girati da un operatore in zona di guerra: tutta camera a mano, a un palmo dalla faccia dei protagonisti – immagini sgranate, mosse, al centro di ogni collutazione. Quando si allontana un po’ per un campo lungo, registri il contesto ma ti dimentichi subito dello scarto. Il risultato è pazzesco. C’è una nave cargo, la bagnarola dei pirati, una scialuppa di salvataggio, una spiaggia africana, e il mare. Basta. Il resto sono i protagonisti, quello che fanno e – a volte – perché lo fanno. Eppure il film non perde un colpo, né sul versante della suspance pura, né su quello del disegno politico, semplificato il giusto e giustamente comprensibile. La citata scena del reclutamento sulla spiaggia mette tutto, subito, nella prospettiva corretta.

Chiudo dicendo che, in nemmeno un mese, è il terzo blockbuster americano che esce e si merita un pieno di stellette dopo Rush e Gravity: stagione fortunata questo autunno di cinema sempre più minacciato dalle serie TV e dai mega schermi domestici. Sarebbe bello difenderlo, tutti in sala, almeno quando ne vale la pena.

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