Cetto La Qualunque ritorna in grande stile e stavolta, ad attenderlo, c’è addirittura un regno tutto per lui e un futuro da monarca assoluto. È lo spunto al centro di Cetto c’è, senzadubbiamente, terzo capitolo della trilogia iniziata nel 2011 con Qualunquemente e proseguita l’anno successivo con Tutto tutto niente niente. Nei panni dello spregiudicato e volgarissimo politico calabrese, a sette anni di distanza dall’ultima volta sul grande schermo, c’è ancora una volta Antonio Albanese, mentre alla regia è confermato Giulio Manfredonia. Il film sarà nelle sale dal prossimo 21 novembre, in 500 copie.
A dieci anni dalla sua elezione a sindaco di Marina di Sopra, di Cetto si erano perse le tracce. Ma nel nuovo film scopriamo che adesso vive in Germania e, messa da parte ogni ambizione politica, Cetto La Qualunque oggi per i tedeschi è soltanto un irresistibile e pittoresco imprenditore di successo, che considera la Germania una terra di conquiste e la mafia un marchio di qualità. Ha una bella compagna tedesca (Caterina Shulha), una catena di ristoranti e pizzerie, due suoceri neonazisti e perfino una biondissima chioma alla Donald Trump, ma il richiamo della terra natia e dell’amata zia lo riporterà a confrontarsi con la politica dalla porta principale. Nel film viene anche parodiata la nota piattaforma Rousseau, che ha dato vita a un esperimento parallelo con tanto di referendum tra monarchia e repubblica il cui nome, Jean Jean Pileau, echeggia il più noto tormentone del personaggio.
«Io che amo la comicità in modo viscerale trovo sempre più difficile metterla in scena perché davvero – è una banalità, ma è vero – la realtà supera ogni forma di comicità, anche la mia che è sopra le righe e paradossale – esordisce Albanese, che nel film prende il nome di Cetto Primo Buffo delle Due Calabrie, presentando il film alla stampa -, Cetto, oggi, corre il rischio di sembrare moderato. Lo so che è paradossale dirlo ma è così. Insisto con questo meraviglioso mondo della comicità perché è bello non isolarsi, reagire alle cose con energia. La comicità in questo paese si sta un po’ disperdendo perché probabilmente mancano i fondamentali e Cetto, che in questo film ha intorno una favola nera, una follia, una nostra provocazione, è una lucina che vorrei continuare a tenere accesa».
«Cetto viene alimentato dalla politica, che in questi anni di certo non è migliorata – aggiunge Albanese -, Abbiamo cercato anche di raccontare il territorio della monarchia, tutt’altro che sparita in Europa. Il film l’abbiamo scritto un anno e mezzo fa ma il tema dell’ultradestra che nel frattempo ha preso piede – basta guardare a cosa succede dalla Turchia alla Svezia – continua a spaventarmi, per i miei figli e i figli dei miei amici. È proprio il fatto che il sovranismo abbia bisogno di un sovrano a inquietarmi. Col cinema possiamo far notare determinate cose, ma purtroppo non siamo in grado di offrire soluzioni concrete».
«Il cinema comico, come altri generi, assorbe le novità dei linguaggi e si modernizza – dice Manfredonia -, Ha bisogno del corpom dell’interazione, dei personaggi “raccontati insieme”. Antonio ha la grandissima capacità di creare un gruppo accanto a sé, che lavora per il solista. Ormai lavoriamo insieme da molti anni, io e Antonio, e il mio sforzo è trovare attraverso la macchina da presa un linguaggio che lo accompagni. Ma senza troppi ragionamenti, anche lavorando molto di pancia. È curioso, però, come molti politici attribuiscano Cetto sempre alla controparte politica opposta. Qualcuno, andando decisamente fuori tempo massimo, diceva addirittura che somigliava a Ciriaco De Mita…mi sembra comunque molto riduttivo dire che sia un film politico, direi piuttosto che ci racconta chi siamo in quanto italiani. Direi piuttosto che è una comicità sul costume, che in passato si faceva molto e oggi si fa molto meno».
«Quando faccio Cetto a teatro mi vergogno come una bestia, un mio amico per consolarmi mi ha detto che somiglio a Depardieu! I suoi vizi, come il maschilismo, la rozzezza, la volgarità e l’ignoranza, da sempre mi fanno venire un torcicollo nevrotico che si traduce in un vero e proprio rigetto – precisa poi Albanese a proposito del suo rapporto personale con la sua incarnazione più popolare -, Ma allo stesso tempo sento il bisogno di raccontare questa mostruosità, che continua a vivere e convivere con noi, a cominciare dall’omofobia dilagante. Ho un grande rispetto per il Paese e non penso che Cetto possa diventare un testimonial per il sovranismo, altrimenti Scorsese lo dovrebbero arrestare».
«Nessuno dei miei personaggi mi assomiglia, ma su Cetto ho proprio dovuto lavorare per acquisire questa distanza – dice infine l’attore e comico, che sui titoli di cada canta anche, in coppia con Gué Pequeno, la canzone Io sono il Re, il cui testo è firmato da lui stesso insieme al co-sceneggiatore Piero Guerrera – Ormai questo personaggio è una maschera, è la mia creatura più fortunata, e sono orgoglioso del fatto che continui a essere vivo e attuale. Ne ho fatte tante di maschere, da Perego ad Epifanio passando per Alex Drastico, e quello che ho sempre tentato di fare, anche per rispetto verso il pubblico, è di non sfruttare il personaggio, di proteggerlo in una sorta di teca. Tra le cose che mi fanno più orrore di Cetto è il rapporto con il figlio, visto che i giovani dovrebbero essere il nostro futuro».
Foto: Getty Images
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