Checco alla scoperta della civiltà (forse). La recensione di Quo Vado?
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Checco alla scoperta della civiltà (forse). La recensione di Quo Vado?

Il quarto film di Zalone è il suo più rocambolesco e politico. In sala dal 1° gennaio

Checco alla scoperta della civiltà (forse). La recensione di Quo Vado?

Il quarto film di Zalone è il suo più rocambolesco e politico. In sala dal 1° gennaio

Per chi scrive, Cado dalle nubi e Ma che bella giornata – prime due incursioni di Checco Zalone sul grande schermo, seguite dal più disomogeneo Sole a catinelle – sono due pezzi di cinema comico muniti di un infallibile meccanismo a orologeria. Due recipienti di sketch tutti giocati su un repertorio personale e su una maschera capace di vestire le manie e i tic italioti, restando nel territorio della parodia ma senza mai scivolare nella trivialità né tantomeno nel buonismo (Checco è un troglodita, ma «con buonsenso»). Se in Sole a catinelle aveva preso piede un discorso più politico ma tenuto insieme piuttosto debolmente, in Quo Vado? Zalone/Luca Medici e il braccio destro Gennaro Nunziante centrano più fermamente il bersaglio.

La storia d’amore tra Checco, impiegato statale, e il posto fisso in cui si adagia da quindici anni prima che la riforma sui tagli alle province glielo strappi via, ricorda quasi l’epica rincorsa tra Scrat e la sua ghianda in L’era glaciale, e in effetti Quo Vado? è il suo film più rocambolesco: pur di mantenere il suddetto posto fisso, è disposto a venire trasferito ovunque dalla villain della pubblica amministrazione (ritratta con una punta di misoginia) Sonia Bergamasco, finendo persino al Polo Nord dove una ricercatrice ambientale bella e buona lo converte – letteralmente – alla civiltà. Possibile solo all’estero, Paese delle Meraviglie dove al semaforo non si suona, gli uomini aiutano nelle faccende domestiche e si fa la raccolta differenziata. La mutazione non ha però vita lunga e basta l’esibizione di Al Bano e Romina a Sanremo (la sacra trinità tricolore!) a interrompere l’incanto dell’epifania posticcia.

Nella sua pellicola più completa, Checco, sempre stralunato, sempre fuori luogo, sempre adorabile scemo del villaggio, catalizza ancora una volta – e stavolta più corposamente – i tic e i cliché di una certa commedia e di una certa Italia, tic e cliché che sono dapprima abitudini, poi peccati da estirpare, infine elementi familiari che ci richiamano a sé come un osceno canto di sirena. E così Checco è qui come non mai lo specchio deformante ma inevitabilmente (e fieramente) onesto dei mali congeniti della terra madre, emblema di un “nuovo mostr(iciattol)o” mai davvero redento, dell’italianità doc, suo e nostro malgrando.
Quo Vado?
è, perciò, un inno (cinico e imbarazzato) al Belpaese, croce e delizia e ormai fulcro pulsante del cinema di Zalone, l’idiota che ci vergogniamo un po’ di amare.

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