Cherry è un giovane ex medico dell’esercito che ha prestato servizio durante la guerra in Iraq in diverse missioni militari. Tornato a casa con un forte disturbo post-traumatico, si ritrova a fare i conti con la dipendenza da oppiacei per cercare sollievo, ma sprofonderà in condizioni economiche a dir poco precarie. Per uscire da questa difficile situazione, prenderà una pessima decisione: rapinare banche.
Dopo aver sbancato i botteghini planetari con Avengers: Endgame, i fratelli Anthony e Joe Russo hanno scelto questa storia e questo film, con protagonista lo Spider-Man del Marvel Cinematic Universe Tom Holland, per proseguire la loro carriera dietro la macchina da presa. Il tentativo evidente è quello di sfruttare l’immenso potere produttivo acquisito per permettersi qualcosa di personale e diverso, con un soggetto (sulla carta) forte, una storia di denuncia, una messa in scena solida e robusta quasi per automatismo.
Adattamento dell’omonimo romanzo, parzialmente autobiografico, del veterano Nico Walker, Cherry punta in realtà quasi tutto su Tom Holland e sul suo tour de force drammatico e fisico (con 13 chili persi per il ruolo, tra l’altro). Il film gioca infatti essenzialmente a spiazzare le aspettative degli spettatori rispetto all’interprete scelto, ricollocando il giovane attore britannico in un contesto per lui inedito, sgradevole e durissimo: droghe, senso di abbandono, loop di violenza che da bellica e condivisa diventa psicologica e privata, incapacità di raccogliere i cocci della propria vita in frantumi.
Dopo una prima parte che muove da premesse più evasive, aperte alla seduzione dell’incertezza e del possibile, Cherry però via via si sgonfia. Gioca d’accumulo con situazioni e registri, scontando anche una certa dose di ricatto emotivo e forzature a effetto. Né Holland né Ciara Bravo, interprete della ragazza del protagonista, Emily, suonano infatti particolarmente in parte o tantomeno centrati rispetto ai loro personaggi, nonostante ce la mettano davvero tutta. Rimane appiccicato loro addosso il sentore di una giovinezza slabbrata – pretestuosamente, però: la sceneggiatura espone tutto, ma racconta poco – e soprattutto acerba, senza alcun capitale drammaturgico da sfruttare per tentare il salto del registro adulto (non solo, ovviamente, sul piano anagrafico).
Cherry poi, ed è un limite spesso imperdonabile, non ambisce a essere solo un film ma più film in uno. Comincia come un teen movie dark, prosegue sotto forma di war movie derivativo e scarsamente originale e si arena nelle pastoie dell’ennesimo dramma sull’addiction da sostanze, con pochissima sensibilità e un climax pacchiano imperdonabile nel tentativo di sublimare in chiave epica la parabola esemplare sullo strazio del corpo. Non convince appieno, insomma, in nessuna delle sue parti. Un po’ per pavidità, visto che lo sguardo dei Russo sembra avere paura di affondare la lama quando necessario e lo fa quando sarebbe stata raccomandabile maggiore prudenza, un po’ perché come tutti i film di guerra con poca personalità – compresi i migliori tra loro, come Jarhead per esempio – pare convinto che basti riformulare Full Metal Jacket di Kubrick e i suoi contrassegni più celebri per portare a casa la sufficienza stiracchiata.
Se si aggiunge, in chiusura, anche una rapida e rapinosa virata verso l’heist movie, si capisce come Cherry sia uno di quei classici film-Frankenstein che raccatta qua e là diversi ipotesi di racconto senza credere davvero a nessuna di esse, rinunciando a ogni azzardo e silenziando l’empatia sottobanco, mentre si simula un’accelerazione frenetica del dramma (armonizzare i tantissimi Avengers di Infinity War ed Endgame si era rivelata per i Russo, in fin dei conti, una sfida paradossalmente più accessibile e alla portata).
Foto: The Hideaway Entertainment/AGBO
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