Arriverà nelle sale il prossimo 14 novembre Sono solo fantasmi, il “Ghostbusters italiano” diretto da Christian De Sica. Al centro della storia troviamo Tommaso (lo stesso De Sica), ex mago in bolletta romano e un po’ imbroglione, e Carlo (Carlo Buccirosso), napoletano che ha preso l’accento milanese, sottomesso a moglie e suocero settentrionali: due fratellastri che si rincontrano dopo molti anni a Napoli per la morte del padre Vittorio.
Scoprono però di avere un terzo fratello, Ugo (Gianmarco Tognazzi), apparentemente un po’ tonto ma in realtà un piccolo genio molto avvezzo a mitologia antica e risvolti paranormali. L’eredità, agognata da Tommaso e Carlo, sfuma a causa dei debiti del padre e i tre hanno così una grande idea per sbarcare il lunario: sfruttare la superstizione e la credulità napoletana, diventando degli “acchiappa fantasmi” in piena regola.
Un soggetto insolito e una commistione di generi – la commedia e la ghost story che a sua volta incrocia una vena horror decisamente inaspettata e molto distante dal piglio buffo delle creature del celebre film di Ivan Reitman con Bill Murray – sulla cui genesi ha avuto un peso decisivo il contributo di Nicola Guaglianone e Menotti: gli autori de Lo chiamavano Jeeg Robot sono infatti gli stessi di questo soggetto, poi sviluppato in sede di sceneggiatura da Andrea Bassi, Luigi Di Capua dei The Pills e dallo stesso De Sica.
«Inizialmente volevo fare un remake di Oscar insanguinato, un vecchio film con Vincent Price, in cui io e Massimo Boldi ci divertivamo scherzosamente a uccidere Piera Detassis e i giornalisti e i critici che non ci danno mai premi! Scherzo, naturalmente, sono un grande amico di Piera – racconta De Sica presentando il film alla stampa -, I produttori però mi hanno detto “meglio di no!” e a quel punto ci siamo indirizzati verso questo soggetto, che mi hanno proposto Guaglianone e Menotti. Io ho sempre fatto le farse e la commedia, mentre in questo bisognava bilanciare un altro tipo di narrazione. Brando, mio figlio, mi ha dato una grossa mano, senza di lui il film non sarebbe esistito. Brando è un appassionato di horror, da quando da piccolo ho fatto la follia di proiettargli L’esorcista, mi ha aiutato moltissimo con gli effetti speciali e a breve farà un film da regista, sempre prodotto da Indiana Production» (che ha co-prodotto Sono solo fantasmi insieme a Medusa, ndr).
«Ho voluto raccontare una Napoli diversa, senza camorra, non buia e nera ma luminosa, come piaceva a mio padre. Una Napoli positiva nonostante i fantasmi, quella del golfo, di Benedetto Croce, di O’ Sole Mio. A Napoli ci sono poi più fantasmi che a Londra e René Clair, un grande regista francese, diceva a mio padre che per cercare degli attori doveva andare alla comedie française, mentre lui a Napoli non aveva problemi perché tutti sanno recitare, dal bambino alla prostituta. Vedremo come questo film andrà col pubblico, se dovesse avere successo sarebbe un bel ritorno al genere. Ormai si fanno solo commedie e una horror comedy non può che essere un punto interrogativo».
Il film di De Sica regala più di una sorpresa lungo il suo arco narrativo e la confezione di genere è funzionale allo scopo, oltre che permeata dall’ambientazione partenopea: nel corso della storia Tommaso e Carlo si convincono che i fantasmi esistono davvero e in virtù di diverse perizie viene anche risvegliato il fantasma di una strega della tradizione partenopea, la terribile janara («in questo senso abbiamo anche dovuto smussare alcune inquadrature e dei primi piani perché facevano troppa paura, anche se oggi i ragazzi, gli stessi che mi dimostrano sempre grande affetto e sono più giovani dei miei figli, vedono di tutto, basti pensare a quanto faccia paura IT. Non potevamo, dunque, fare dei fantasmi comici», aggiunge De Sica). Senza dimenticare che il padre Vittorio, omonimo di Vittorio De Sica, è interpretato dallo stesso Christian, in un impeto nostalgico-familiare decisamente azzeccato e toccante, che lo porta a rievocare e omaggiare a più riprese la figura paterna attraverso citazioni e omaggi, con un finale che sconfina addirittura nella lettera d’amore in bianco e nero.
«In Sono solo fantasmi ci sono degli evidenti richiami a vecchi film di mio padre – precisa De Sica a questo proposito -, la signora Cuccurullo era in L’oro di Napoli, mentre una battuta del personaggio Leo Gullotta è presa da Matrimonio all’italiana e da Mastroianni. Il Vittorio Di Paola del film, proprio come mio padre, è certamente un donnaiolo e un giocatore d’azzardo. Mio padre lo metto dentro sempre, anche nella farse di Natale che ho fatto c’è sempre una battuta che lo ricorda. E lo rivedo sempre nei gesti dei suoi film, nel modo in cui la Loren si abbottona la vestaglia, ad esempio».
«A casa, ogni tanto, spuntava fuori una sorella – racconta ancora De Sica lasciando spazio agli aneddoti familiari -, Una volta una signora mi ha chiamato dalla Spagna, chiamandomi fratello. Al funerale di papà vidi una donna piegata su una madonnina luminosa. Si girò e aveva la mia stessa faccia. Mi disse “sono Ines, la figlia della sarta”. Però papà era il grande genio che era, mentre questo Vittorio Di Paola è solo un grande incosciente. Questa cosa dei ‘grandi papà’ ce l’ho in comune con Gianmarco, infatti ho chiamato il suo personaggio Ugo. Li abbiamo persi entrambi molto giovani, chissà quante cose gli avrei potuto chiedere. Ma abbiamo una grande fortuna, che altri non hanno: quando abbiamo bisogno di papà possiamo proiettare un film, e loro sono sempre lì con noi. Lui amava gli attori, a differenza di Rossellini che stava rovinando la Bergman. Esordii con lui sul set del film che raccontava la vita di Blaise Pascal, perché ero fidanzato con sua figlia Isabella, e lui mi diceva solo: vai da qui a qui, ma non fare come tuo padre, fai di meno».
«Questo è il mio nono film da regista e ne vorrei fare un altro, dal titolo La porta del cielo, sulla storia d’amore tra mio padre e mia madre, anche se ormai sono troppo vecchio per fare mio padre a 45 anni – svela poi De Sica -, Si tratta della più bella sceneggiatura che ho mai scritto, a mio giudizio, e spero di realizzarlo con Indiana o con Netflix che ha manifestato un certo interesse. Sono anni che lo voglio fare, sarebbe anche un film di appeal internazionale, ma quando come me hai fatto tantissimo film comici è difficile fare altro: nei film di Aurelio De Laurentiis ho fatto per tanto tempo i puttanieri, gli imbroglioni, i maschilisti, ma ora che sono invecchiato e ho trenta chili di più potrei fare il cardinale, il principe senza soldi, l’avvocato, quei ruoli dal fisico borghese che fece mio padre da vecchio».
«Christian per me è un secondo padre e recitare col nome di Ugo è stata la sensazione di riunire una famiglia, come se Vittorio e Ugo ci proteggessero dall’alto – dice invece Tognazzi -, Il personaggio era scritto benissimo e mi ha aiutato a trovare la follia e l’infantilità che erano anche i punti di forza di mio padre, che nel suo mestiere giocava rimanendo sempre bambino. Il mio personaggio si ritiene matto perché tutti gli hanno sempre detto così, ma alla fine nella cialtronata che i tre fratelli mettono insieme è l’unico vero acchiappafantasmi. La cosa più importante, dato l’equilibrio che ci serviva, era però non cadere nel macchiettismo».
«Il milanese è stato un ostacolo più in lettura che nell’adoperarlo poi sul set – conclude Buccirosso – Parla in quel modo per adeguarsi al suocero nordico che gli dà la paghetta e a sua moglie, milanese e oppressiva, si atteggia a grande imprenditore anche se non lo è e il napoletano lo riporta però alle ansie e alle tragedie che caratterizzano quest’uomo. Invidio molto chi sa usare i dialetti con disinvoltura, io ne gestisco tre o quattro ma il milanese non era certo nelle mie corde. Quello che abbiamo fatto in questo film è lasciare esplodere le mine lasciate in campo dagli sceneggiatori, tutti bravissimi».
Completano il cast anche due giovani attori come Francesco Bruni e Valentina Martone, inservienti della casa di famiglia molto lodati da De Sica e che nel film recitano in un esilarante dialetto puteolano, tipico della città di Pozzuoli.
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