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Cine&Comic Fest 2019, Isabella Ragonese: «Il mio cinema tra Palermo, il teatro e la passione per i fumetti»

Nella quarta giornata dell'evento, per il secondo appuntamento con la rassegna al femminile Dive sul mare, l'attrice si è svelata nel rapporto più intimo con il suo lavoro, toccando anche argomenti come il #MeToo e la passione per i fumetti

Cine&Comic Fest 2019, Isabella Ragonese: «Il mio cinema tra Palermo, il teatro e la passione per i fumetti»

Nella quarta giornata dell'evento, per il secondo appuntamento con la rassegna al femminile Dive sul mare, l'attrice si è svelata nel rapporto più intimo con il suo lavoro, toccando anche argomenti come il #MeToo e la passione per i fumetti

Capelli spettinati dal vento, una gonna rossa e lo sguardo di chi, abituato ad avere il mare, guarda l’orizzonte.

Isabella Ragonese, palermitana, ammira Genova dall’Isola delle Chiatte: è lei l’ospite di Giorgio Viaro e Zerocalcare per il secondo appuntamento con la rassegna Dive sul mare.

«Sono entrambe città di mare, ciascuna con la propria peculiarità. Genova per me, quando ero una ragazza, era il passaggio obbligato verso il continente il suo porto aperto e in questa città ritrovo il fatalismo che abbiamo anche a Palermo, un atteggiamento comune alle città di mare, che è fondamentale anche per il mio lavoro di attrice».

A Genova questo senso di fatalità si riassume nel termine maniman, che molto racconta anche dell’indole di chi vive perennemente schiacciato tra mare e terra.

«Città isolate – continua – dove è possibile crescere e affinarsi con tempi più dilatati. Io ad esempio sono arrivata al cinema a 25 anni. Prima ho partecipato a bandi teatrali, che mi hanno consento di perfezionare scrittura e tecnica, lasciandomi un amore per il teatro che resta anche a distanza di anni e che non mi fa escludere un ritorno a quella dimensione».

Teatro e cinema come realtà attigue, ma anche con differenze essenziali: «Il Teatro consente un maggiore controllo, tutto si consuma in uno spazio circoscritto; mentre per il cinema le variabili sono molteplici, dalle luci al montaggio, passando per la fotografia».

Tutte concorrono alla riuscita di un lavoro corale al punto che – spesso – la sceneggiatura funziona solo se inserita in un contesto nel quale funziona tutto il resto.

Differenze che avverte, riferite al suo mondo, anche Zerocalcare: «Anche il fumetto prevede un controllo e una resa che il cinema esclude proprio a causa della necessaria interazione tra professionisti diversi. La mia difficoltà vera, adesso che sto provando a realizzare un cartone animato, è nel tradurre i dialoghi scritti in lingua parlata. Mi sono accorto che, anche quando si cerca di riportare fedelmente uno scambio, quando viene recitato perde qualcosa, spesso diventa prolisso».

«Anche questo può succedere in un film – continua Isabella – ma quando diventa evidente che un attore ha difficoltà a rendere naturale un dialogo, è fondamentale avere a che fare con uno sceneggiatore che se ne accorga e sappia intervenire invece che insistere».

Isabella non nasconde il suo amore per i fumetti: «Da bambina riempivano i miei pomeriggi estivi. Mi sono sempre piaciuti quelli intensi, il fumetto autoriale rispetto ai supereroi ad esempio; ricordo che tornavo a leggere il Linus, un vero e proprio contenitore del meglio che la scena offrisse, ogni volta che potevo.

Dei fumetti mi affascinano le pagine affollate di pensieri; mentre un personaggio parla puoi sapere quello che pensa, dettagli su contesto e stato d’animo, un privilegio, quello della voce fuori campo, che non è facile tradurre cinematograficamente».

Sulla sua scelta professionale invece, nel riguardare a quando era bambina, non ha dubbi che questa fosse la strada che sognava: «Ricordo che non avevo un desiderio definito, ma sognavo di essere tante cose in tanti posti. Come attrice mi è capitato di interpretare tanti ruoli diversi: moglie, mamma, sono stata in tante città facendole mie tutte le volte, mi sono laureata; tutte esperienze che nella vita reale non ho fatto. Le ho interiorizzate come se le avessi in qualche modo vissute una ad una; e questo, che è normale se si fa il mestiere che faccio io, ha assecondato la mia voglia di bambina di esplorare il mondo e le sue opportunità».

Di fronte alla carrellata di suoi film proposti da Giorgio Viaro il pensiero va a 10 Inverni, per la regia di Valerio Mieli e con protagonista Michele Riondino: «Una storia d’amore che mi fa pensare ad Harry ti presento Sally. È il racconto di due ragazzi che si rincorrono e innamorano, lungo un decennio. Fu un film ben accolto anche dal pubblico, perché in molti si ritrovavano in quella storia».

Sulla scelta dei film a cui lavorare ha invece un atteggiamento curioso: «Cerco sempre di trovare parti che siano stimolanti e che mi mettano alla prova, sia nella recitazione che per il contesto. Ricordo che ad esempio per Sole, cuore, amore – un film di Daniele Vicari che parla dei risvolti tragici della crisi economica – dovevamo girare alcune scene nella metro di Roma. Il contesto non era ricostruito, ma davvero usavamo la metropolitana nelle ore di punta con tutte le storie di vita che conteneva».

In un momento in cui, tra le necessità nate come conseguenza di alcuni scandali sessuali e le opportunità commerciali che le storie al femminile offrono, Giorgio chiede quale sia lo spazio che il cinema italiano offre alle attrici.

«Sul tema, anche legandosi a #MeToo e Non una di meno, ci sono due elementi da affrontare. Uno riguarda i risvolti penali che determinate denunce hanno avuto, ed è qualcosa che non ha a che fare solo con il nostro mondo, ma del quale il nostro mondo deve fare testimonianza.

Esiste un problema nel rapporto con le donne che è culturale, e non sempre è facile far capire cosa una donna subisca quotidianamente. In quel caso, in un momento nel quale anche la denuncia diventa discriminatoria – come se subire certe angherie renda una donna in qualche modo colpevole – noi che facciamo un mestiere che ci espone abbiamo il dovere di parlare per proteggere anche chi è fuori dal nostro mondo.

Dall’altro lato, c’è una questione che è professionale. In passato mi è capitato di dire ‘no’ di fronte a proposte che rendevano il ruolo della donna marginale rispetto alla storia, perché un film che parla di un protagonista e nel quale la sua compagna, ad esempio, è solo un elemento che lo definisca, per me è poco stimolante.

Va detto che i ruoli proposti si sono estesi, ed oggi abbiamo film nei quali le donne hanno personaggi strutturati, belli da vedere come spettatori e stimolanti per chi li interpreta».

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