Argentina, 2001. Fermín Perlassi (Ricardo Darín), ex attaccante di Alsina, sogna di comprare un silo dismesso e formare una cooperativa con la moglie e alcuni vecchi amici. Raccolto il denaro sufficiente e convinto da un burocrate senza scrupoli a depositarlo in banca, si ritrova improvvisamente impossibilitato a disporne dal Corralito, restrizione governativa alla libera disposizione della liquidità. Disperato e privato insieme ai compagni dei risparmi di una vita, si arrende al destino almeno fino al giorno in cui uno di loro non scopre per caso che il loro bancario gli ha scientemente derubati con la complicità di Manzi. Sciacallo ossessionato dal controllo, il suo socio ha fatto scavare nel mezzo del nulla una fossa per la sua cassaforte. Dentro ci sono tutti i sogni rubati alla piccola comunità rurale, fuori una porzione di quella comunità decisa a riprenderseli.
Il titolo originale di Criminali come noi, La odisea de los giles, allude a persone non particolarmente sveglie, uomini comuni privi di conoscenze specifiche e alquanto digiuni di competenze tecniche. Quelli del film tratto dal romanzo di Eduardo Sacheri, tuttavia, tenteranno in tutti i modi di unire le proprie forze per far fronte a un’ingiustizia subita e portare a termine la loro pittoresca avventura all’insegna del revanscismo e della vendetta contro il torto consumato ai loro danni. In Criminali come noi di Sebastián Borensztein i riferimenti diretti non possono che essere, in virtù di quest’arrembaggio improvvisato contro le storture dettate da congiunture non proprio auspicabili, i nostri soliti ignoti di monicelliana memoria: dei perdenti eroici, per citare il titolo internazionale, degli Heroic Losers.
Al vertice di questa compagine male in arnese c’è un Ricardo Darín che si conferma volto cardine e punta di diamante del cinema argentino per qualità e riconoscibilità delle sue scelte, mentre sullo sfondo si staglia la crisi economica che paralizzò la stessa Argentina nel 2001 (lo stesso anno di Ocean’s Eleven, altro classico dell’heist movie col quale Criminali come noi può essere apparentato in maniera più spuria e indiretta). Tutta la vicenda ha degli sviluppi abbastanza esili, ma anche un andamento sinceramente coinvolgente e un ritmo e una spigliatezza non indifferenti. Non tanto nel manicheismo tra truffatori e gabbati, quanto nella messa a punto delle situazioni paradossali che colorano gli eventi e ne fomentano il potenziale sociale e diciamo anche sociologico.
Borensztein aveva già diretto un altro film con protagonista Ricardo Darín, quel Cosa piove dal cielo? che nel 2011 vinse l’allora Festival di Roma. Con Criminali come noi ribadisce di saper maneggiare con coscienziosità uno spunto solo in apparenza stravagante e di essere in grado di utilizzare una storia come tante per tentare di andare oltre un dispositivo di genere già ampiamente spremuto. Si sorride a più riprese, in Criminali come noi, e la piacevolezza del meccanismo narrativo, al netto di tutte le furbizie e gli ammiccamenti, riesce a estrarre un punto di vista lucido da tutti i personaggi, anche dai più semplicistici, sempliciotti e tirati via: la sua idea di coralità si rivela pertanto il maggiore punto di forza della sceneggiatura e anche del prodotto finito, nonostante le lungaggini stiracchiate e una brillantezza che tirandola per le lunghe ne viene fuori in più di un’occasione un po’ scalfita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA