La intercettiamo appena rientrata dagli Stati Uniti «da cui ho rischiato di non tornare, per via dei disagi aerei che il maltempo sta creando». Del resto, dopo lo straordinario successo di La mafia uccide solo d’estate («Sono così contenta dell’exploit del film di Pif; per me e per tutti coloro che vi hanno lavorato è stata una soddisfazione, e una gioia») e il tour promozionale di Indovina chi viene a Natale?, Cristiana Capotondi aveva bisogno di «una sana e sacrosanta vacanza». Che è durata giusto il tempo delle festività natalizie, perché il nuovo anno dell’attrice romana inizia con diversi impegni già in calendario: «In questo momento sono impegnata con il doppiaggio – di me stessa – nel film di Pupi Avati, Il ragazzo d’oro; sul comodino ho diversi copioni che mi aspettano e nei prossimi giorni entrerà nel vivo la promozione di Amori elementari». Ed è proprio del film diretto dall’esordiente Sergio Basso, in sala dal 20 febbraio, che vogliamo parlare. Una storia ambientata sulle Dolomiti (la pellicola è stata girata ad Alleghe, in provincia di Belluno), che racconta i primi amori che nascono sui banchi di scuola. Anzi, in questo caso sul ghiaccio della polisportiva dove Tobia, Matilde, Katerina e Aleksej si allenano per diventare campioni di hockey e pattinaggio. E dove un giorno entra anche Agata, ragazzina ribelle e sempre accigliata. Il suo arrivo procura un terremoto nel quartetto e soprattutto nel cuore di Tobia…
Best Movie: Anche tu hai avuto i primi batticuori alle elementari?
Cristiana Capotondi: «Diciamo che il primo vero amore è arrivato più tardi, a 12 anni, e poi me lo sono portato avanti per dieci! Però mi ricordo che già alla scuola primaria c’era un mio compagno che mi piaceva. Era il più carino della classe e io, da tontolona qual ero, pensavo che non mi corrispondesse. Poi un giorno la mamma mi disse: “Hai visto? Si è messo la gelatina apposta per te”. Io ovviamente non mi ero accorta di nulla!».
BM: Anche tu hai ricevuto o mandato bigliettini? E compilato questionari sull’amore e sul ragazzo dei tuoi sogni?
CC: «Oggi ormai ci sono un sacco di applicazioni, ma mi ricordo che al tempo per scoprire l’affinità di coppia o il fidanzato ideale bisognava fare tutto manualmente, contando le lettere che componevano il nome, inserendo la data di nascita e cose di questo tipo. E certo, sono stata oggetto di qualche messaggio d’amore, ma preferivo cercare altri mezzi per poter stare insieme ai ragazzi a cui facevo il filo. Al liceo non so quante partite di battaglia navale ho fatto con un mio compagno!».
BM: Assomigliavi più a Matilde o ad Agata?
CC: «A nessuna delle due, in verità. Però di Matilde avevo l’ingenutià rispetto alle dinamiche relazionale e pre-adolescenziali; mentre ero piuttosto peperina e furbetta come Agata. Anche se non sono mai arrivata a gesti folli come i suoi (ATTENZIONE SPOILER! Agata scappa per inseguire un amore virtuale, un ragazzo conosciuto sul web, ndr)».
BM: Quindi non hai mai fatto follie d’amore?
CC: «Anche in questo caso sono venute dopo, non alle elementari. Non ero spavalda come i giovani d’oggi! Però – come dicevo – furbetta sì. Ricordo che una volta, durante una gita scolastica, caddi e mi contusi il braccio. Accentuai il male per farmelo ingessare: mi sembrava una cosa eccezionale perché tutti ne avrebbero parlato e la mamma mi avrebbe coccolato!».
BM: Anche secondo te le nuove generazioni hanno un po’ perso il senso del limite e del pericolo?
CC: «Be’, sì, e in questo il web ha avuto un ruolo fondamentale, perché ha ridotto le distanze e conferito ai giovani un senso di strapotere sulle cose, che però non corrisponde alle loro reali possibilità; vuoi per via dell’età anagrafica, della capacità economica, di quella intellettiva e della piena consapevolezza di saper stare al mondo. Esattamente come accade ad Agata, spesso i ragazzi non hanno la percezione di quello che fanno e delle conseguenze dei loro gesti».
BM: Quanto anche i genitori hanno “colpa” in questo? Agata si rifugia su Internet anche per sottrarsi alla madre e al padre, con i quali non ha un buon rapporto.
CC: «Il fatto è che a quell’età il dialogo con i genitori è sempre difficoltoso. È il momento in cui ti stacchi come individuo e devi necessariamente svilupparti come altro dalla tua famiglia, nel bene e nel male. Lo scontro generazionale è fisiologico: ognuno vive un momento di ribellione rispetto all’autorità che mamma e papà rappresentano. Agata usa il web proprio come strumento per condurre questa “protesta” e attirare l’attenzione su di sé. Trovo che Amori elementari sia molto attuale per come racconta l’adolescenza, e come le nuove tecnologie, la Rete e la tv abbiamo velocizzato e anticipato già alle elementari l’inizio di questo percorso di consapevolezza».
BM: Hai imparato a pattinare per il film (Cristiana interpreta l’allenatrice della squadra di pattinaggio artistico)?
CC: «Ho pattinato un po’ sulle rotelle quando ero ragazzina, al Coni, e ho preso delle lezioni per la pellicola. È stato divertente ma non sono molto brava: ci sono delle bambine che a 6 anni sono già dei mostri!».
BM: Invidia?
CC: «Sì (ride). Soprattutto perché non ho mai fatto parte di un gruppo sportivo come quello della pellicola. Per compensare, da qualche anno i miei amici ed io ci sfidiamo a calcetto ogni settimana! La cosa bella di questo film è che ti racconta proprio come tramite lo sport uno possa tirare fuori la sua personalità».
BM: Tu quindi non hai mai incontrato un coach al quale ti sei affezionata, come capita nella pellicola, dove diventi un’alleata per le ragazze che alleni?
CC: «Purtroppo no, però ci sono state altre figure che hanno contribuito in modo sostanziale alla mia crescita, oltre naturalmente ai miei genitori. Ricordo una suora a cui ho voluto molto bene ai tempi delle elementari, e poi la professoressa di inglese – che peraltro continuo a sentire – e il professore di filosofia del liceo: due bellissimi esempi di dedizione alla causa dell’educazione».
BM: Com’è stato lavorare con i bambini?
CC: «Fenomenale e divertente, anche perché molti di loro erano di origine russa, per cui si comunicava un po’ in italiano, un po’ in inglese e un po’ grazie al lavoro dei traduttori! Lavorare con i bambini è stato uno dei motivi per cui ho scelto di prendere parte al film. Loro sono degli attori molto più duttili rispetto agli adulti. E poi abbiamo avuto la fortuna di avere un cast fantastico e molto affiatato, anche fuori dal set! In albergo giocavano spesso a nascondino e non so se tra un nascondiglio e l’altro sia davvero nato qualche amore…».
BM: Hai trovato un feeling particolare con qualcuno di loro?
CC: «Diciamo che mi sono affezionata molto a Bonny, il ragazzino che interpreta Ajit. Mi faceva ridere in continuazione!».
BM: E loro come si sono relazionati a te?
CC: «Alcuni erano curiosi di conoscere la mia storia, perché sapevano che avevo iniziato a fare questo mestiere da bambina, per cui si rivedevano in me».
BM: Hai dato loro qualche consiglio?
CC: «No, non si può dare consigli! Io sono la prima a non volerne. È tanto bello far bene o sbagliare da sé! Ecco, forse la difficoltà maggiore di lavorare con loro è il trattenersi dal dire tante cose, per lasciare che siano loro ad arrivarci, a scoprirle e a capirle».
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