Il paradosso di Sean Penn: lui che di solito al cinema interpreta l’eroe, più passano gli anni e più si ritrova con una faccia da villain. Le rughe gli attraversano la fronte come cicatrici, ha uno sguardo di pietra e i capelli, d’un colore artificiale che ricorda il legno, gli ingrigiscono sulle tempie. La mattina che lo incontriamo, in un salone di un hotel di Cannes, sta metabolizzando le discussioni suscitate dalle prime proiezioni di The Last Face al Festival francese. È il quinto film della sua carriera di regista, e arriva dieci anni dopo il cult generazionale Into the Wild, uno dei pochi film degli anni ’00 che hanno davvero fatto la storia di quella decade. Ed è un film delicato per molti aspetti: non soltanto ci recita l’ex compagna Charlize Theron, con cui la relazione è finita bruscamente dopo la fine delle riprese, ma racconta una storia d’amore tra la direttrice di una ONG e un medico occidentale sullo sfondo di una terribile guerra civile africana, senza lesinare sui dettagli agghiaccianti dell’emergenza umanitaria.
Cosa ti ha spinto a portare questa storia al cinema, a condividerla con gli spettatori?
«La prima volta che ho letto lo script mi ha colpito molto. Era una sceneggiatura che girava da parecchio tempo, credo dal 2005, e la versione originale era stata realizzata in seguito allo scoppio della guerra civile in Liberia. In realtà inizialmente non ero stato contattato per seguirne la regia, ma per partecipare come attore nel ruolo che nel film ricopre alla fine mio figlio (Hopper Penn, nel bollo sopra, ndr); tutto, però, era avvenuto in via confidenziale. Solo molti anni dopo mi è stato offerto di dirigere il film, e ne sono stato assolutamente entusiasta».
Come hai scelto il cast?
«Ai tempi della prima sceneggiatura, Javier Bardem era già stato preso in considerazione come protagonista: anche lui, nonostante i ritardi, è rimasto sempre legato al progetto, lo interessava molto. Poi, quando il produttore mi ha proposto la regia, era un periodo in cui “frequentavo spesso” Charlize, e ho pensato subito che sarebbe stata perfetta per il ruolo femminile».
La sceneggiatura come è cambiata rispetto alla prima versione che risale ormai a 10 anni fa?
«È stato necessario svecchiare lo script, espanderlo con nuovi elementi. Il mio intento era di realizzare qualcosa di speciale, arricchendo la storia con un bagaglio di esperienze personali che avevo accumulato durante i miei viaggi, e in particolare da quello che avevo potuto vedere proprio in Liberia».
Riguardo al personaggio che Charlize interpreta nel film, cioè la direttrice di un ONG che opera nel bel mezzo di un conflitto spietato, come può una persona proteggersi dalla frustrazione che incontra ogni giorno facendo un lavoro del genere?
«In realtà non può. Convivere con la frustrazione è necessario: nel film abbiamo voluto rendere molto visibile questo stato d’animo. In The Last Face raccontiamo solo una piccola parte della vicenda: la prima guerra di indipendenza in Liberia è durata sette anni ed è difficile condensare tutto quello che ha comportato. Quando affronti un tema del genere devi essere attento, devi essere sicuro di non apportare alcun contributo fuorviante o farti influenzare dai locali… Ma sai, le persone sono persone, noi cerchiamo solo di fare il nostro lavoro al meglio. Sono situazioni che continuano a ripetersi, politicamente è un gioco frustrante… Provi a raccontare queste storie perché hai fede nel fatto che le cose possano cambiare e che non si ripetano».
Riguardo alla polemiche dopo l’anteprima a Cannes, permettimi una domanda. Alcuni, dopo aver visto il film, hanno dichiarato che una situazione di guerra così violenta, e dei fatti tanto terribili, non dovrebbero essere raccontati attraverso lo sguardo e i patemi sentimentali di una coppia di bianchi occidentali…
«Be’ non posso proprio scusarmi per questioni del genere: chi ha visto il film e ha avvertito questo tipo di problema può andare a farsi fottere… È una cosa che davvero non mi tocca».
The Last Face uscirà nei cinema il 28 giugno.
L’intervista completa è pubblicata su Best Movie di giugno, in edicola dal 30 maggio.
Foto: Getty Images
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