Sarebbe dovuta approdare al cinema esattamente domani la commedia D.N.A. (Decisamente Non Adatti), prodotta da Vision e Lucky Red, esordio alla regia del duo comico Lillo&Greg, affiancato da Anna Foglietta (in ben 3 ruoli), ma come già altri titoli di cinema italiano usciti in streaming sarà disponibile on demand da domani 30 aprile su Skyprimafila Premiere, TIMVISION, Google Play, Infinity, CG Digital, Rakuten Tv e Chili.
Il film racconta di due ex-compagni di scuola elementare molto diversi tra loro, Ezechiele il secchione e Nando il bullo, che si rincontrano da adulti e decidono di scambiarsi i codici genetici per migliorare le proprie vite, ma tra esperimenti scientifici maldestri e hackeraggi del DNA dagli effetti nefasti, i due risulteranno Decisamente Non Adatti a queste nuove vite…
Abbiamo incontrato via Zoom i due protagonisti/registi affiancati dalla Foglietta, che nel film interpreta il ruolo della moglie insoddisfatta Renata, della prostituta Jessicah e della eterea libraia Elena innamorata della poesia, che ci hanno parlato del film a 360°.
Partiamo dal finale aperto. Pensate forse a un seguito?
Lillo: «Io e Greg non siamo tipi da sequel, ma ci piaceva l’idea di un controfinale che ribaltasse totalmente il lieto fine».
Come ti sei trovata a interpretare 3 personaggi così diversi?
Anna Foglietta: «Diciamo che non è stato semplice. Anche perché non volevamo creare delle macchiette, ma 3 personaggi veri e propri. Soprattutto Greg voleva che fossero realistici e credibili, per cui il processo è stato lungo, soprattutto dal punto di vista estetico. Ci abbiamo lavorato parecchio a livello di trucco e parrucco e, una volta decisa l’immagine esteriore di queste tre donne, il carattere e il modo di parlare sono venuti fuori da sé. Switchare da una personalità all’altra è stato molto divertente».
Com’è stato passare dall’altra parte della macchina da presa?
Greg: «Entusiasmante. Lo esigevamo quasi, dal momento che abbiamo scritto soggetto e sceneggiatura. Il nostro umorismo che è molto di situazione, necessita poi di un tipo di inquadratura e montaggio funzionali alla vis comica, alla gag. Volevamo fare come si fa all’estero: un film comico, ma anche gradevole alla vista, grazie alla cura dei dettagli, della scenografia e dei costumi, affinché tutto avesse una veste grafica curata».
Sull’uscita in streaming e non nelle sale, che cosa dite?
L.: «Ovviamente è un grande dolore e lo dico da amante del cinema, che desiderava portare la nostra prima opera sul grande schermo».
Quali sono i modelli a cui avete guardato per realizzare il vostro film?
L.: «Siamo partiti da un film di Jerry Lewis, che per Greg è un film cult dell’infanzia, ovvero Le folli notti del Dottor Jerryll. E da questa suggestione ci siamo mossi per creare qualcosa di nostro».
G.: «Ci sono delle suggestioni esplicite come quelle di Jerry Lewis e Mel Brooks, ma ce ne sono anche altre più implicite come La trilogia del cornetto di Simon Pegg ed Edgar Wright».
Che cosa cambiereste del vostro carattere, se poteste realizzare un esperimento come quello del film?
A.F.: «Con la quarantena ho scoperto di essere paziente. Rivorrei indietro l’impazienza e la libertà».
L.: «Io ci ho lavorato talmente tanto sugli aspetti del mio carattere che non mi piacevano, che li ho talmente accettati e inglobati nel mio essere che ora mi dispiacerebbe cambiarli».
G: «Io sono molto meticoloso. E poche volte riesco a godere dei miei successi, perché penso sempre che si poteva fare meglio. E, invece, mi piacerebbe godere di quello che di buono ho fatto».
All’inizio del film uno dei due bambini subisce un bullismo piuttosto forte da parte dell’altro. Il film potrebbe essere un po’ di aiuto sul tema? E voi ne avete subìto da ragazzini?
L.: «Io sono stato molto bullizzato da bambino, perché ero obeso e anche se non sono mai stato picchiato, verbalmente sono stato spesso umiliato. Sia io sia Greg sapevamo bene di cosa stavamo parlando».
G.: «Io sin da bambino odiavo il calcio e mi piaceva disegnare; vivevo in un mondo tutto mio. Per cui ne ho subite parecchie. Poi, crescendo, ero sempre considerato quello strano, ma quando ho iniziato a suonare sono stato considerato lo strano con cui fare festa».
A.F.: «Io alle elementari ero una leader. Prendevo le difese di tutte le minoranze. La mia migliore amica veniva da un campo rom, era una specie di sindacalista in erba».
Quali delle tre donne interpretate, Anna, ti è piaciuta di più?
A.F.: «Mi è piaciuta molto la trans Jessicah, e avrei voluto che avesse più scene, perché è generosa e affettuosa. Confrontandomi con le trans, che erano mie vicine di camerino, mi hanno confermato che gli uomini le cercano anche per ricevere affetto. Quella che però ci ha fatto divertire di più sul set è Renata, la moglie annoiata di Ezechiele. Perché si prestava a un certo istrionismo».
Se poteste prendere il DNA di qualcun altro, di chi lo vorreste?
A.F.: «Prenderei il DNA di Gandhi, per fare una grande rivoluzione pacifica, silenziosa, che possa cambiare il mondo per i secoli dei secoli, amen».
G.: «Io prenderei quello di Brian Wilson, il leader dei Beach Boys, che ha intrapreso un percorso musicale di sperimentazione pazzesco».
L.: «Quando avevo 17 anni e andavo in discoteca a Rimini a rimorchiare, vedevo che i miei amici riuscivano, mentre io avevo una tale timidezza nel mio DNA che non riuscivo ad avere lo stesso successo. La timidezza è una brutta bestia, ma ormai quella fase è passata. Per cui, se dovessi rubare il DNA a qualcuno oggi, vorrei quello di Stevie Ray Vaughan, perché devo esercitarmi tanto con la chitarra e invece vorrei fare meno fatica».
Dopo questo film uscirà la teoria del Coronavirus messo negli hamburger delle grandi catene di ristorante?
L.: «In effetti, si è creata una coincidenza pazzesca con la storia del film, ma in realtà se dovessimo mai parlare del Coronavirus mi piacerebbe fare un documentario su come la società è cambiata. Perché di complottismo ce n’è già tantissimo: che la Terra è piatta, che il Molise non esiste…».
Nel film si toccano tantissimi temi, oltre a quello dell’hackeraggio del DNA, dalla parodia del trap agli chef guru, dal bullismo all’industria alimentare che manipola il cibo. La commedia è un’occasione per fare una panoramica sulla società?
L.: «Ci fa sempre piacere accorgerci che, pur partendo da una storia ben precisa, riusciamo a toccare più aspetti di ciò che ci circonda, senza volerlo fare direttamente. La gente si riconosce molto ed entra ancora di più nel vivo del racconto».
G.: «È ovvio che ciò che stigmatizziamo nella realtà rientri nelle nostre storie. Come ad esempio l’eccesso di divismo di certi chef. Si idolatrano gli influencer e gli esperti come gli unici depositari della verità, senza ammettere altre versioni dei fatti o altre tendenze».
A.F.: «La commedia ha questo nobile compito, ed è per questo che è il genere più difficile tra tutti da fare. Perché ha il compito di decodificare la realtà e, siccome la realtà di oggi è piuttosto complessa e poliedrica, è davvero un’impresa non semplice. Nella commedia di Lillo&Greg si toccano tantissimi punti e con grande efficacia comica».
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