Dallo scorso febbraio, Roberto Recchioni (fumettista e romanziere, oltre che curatore di Dylan Dog per la Sergio Bonelli Editore) firma su Best Movie “A scena aperta”, rubrica in cui svela i segreti delle scene più belle dei film disponibili in home video. Sul numero di luglio – già sbarcato in versione digitale e in edicola dal 25 giugno – una puntata speciale, in cui analizza i motivi ricorrenti e lo stile di Shane Black, autore (come sceneggiatore e regista) di alcune delle migliori commedie poliziesche americane degli ultimi trent’anni.
È il 1991. Ho diciassette anni, sono appena uscito dalla visione di L’Ultimo Boyscout e sono fermo in strada, in stato confusionale. Un pessimo scrittore direbbe che ho appena avuto un’epifania. Ma la verità è che ho semplicemente deciso due obiettivi per la mia vita futura: far diventare un certo tipo di storie e di scrittura il mio lavoro, e iniziare a fumare. Oggi, venticinque anni dopo, posso dire di aver centrato entrambi gli obiettivi. E tutto questo lo devo a Shane Black.
Black è diventato famoso come sceneggiatore in un settore che, generalmente, mette sotto la luce dei riflettori solo gli attori e, qualche volta, i registi. Lo ha fatto poco più che ventenne, con lo script di Arma Letale, e ha poi consolidato la sua fama con una serie di script che hanno definito il genere action dei tardi anni ’80 e di tutti i ’90. Negli anni zero si è preso una lunga pausa per problemi personali (ma anche il fatto di aver venduto alcune delle sceneggiature più pagate di tutti i tempi deve aver contribuito) e quando è tornato ha deciso di cimentarsi anche nella regia, oltre che nella scrittura (Kiss Kiss Bang Bang, Iron Man 3, The Nice Guys). Come molti grandi artisti, Shane Black non fa altro che raccontare sempre le stesse cose attraverso gli stessi segni di stile che lo definiscono come autore. Essendo un fan e un adepto della scrittura di Black, per anni ho studiato questi segni, cercando di interpretarne i vari significati, ma mai mi sarei aspettato di poterne parlare direttamente con lui, come invece è successo.
Questo pezzo è il risultato di questa chiacchierata tra me l’uomo che mi ha cambiato la vita e una piccola disamina (priva di qualsiasi ambizione di completezza) su quello che rende Shane Black Shane Black.
Aperture
Il venerdì sera è un gran momento per il football americano, anche quando la pioggia cade scrosciante sul campo. Gli Stallions di Los Angeles sono sotto di sette punti contro i Cats di Cleveland, davanti a un pubblico di soli cinquantamila spettatori. Secondo alcuni stiamo forse assistendo alla morte del football professionistico, ma è arrivato il momento di Billy Cole, l’ultimo vero eroe sportivo, che sta facendo la partita della sua carriera. Eccolo infatti che riceve la palla dal quarterback e inizia a correre verso il touchdown. Davanti a lui si para la linea di difesa. Resiste a un attacco. Ne scarta un secondo e un terzo. Mancano solo due minuti alla fine e gli Stallions hanno un disperato bisogno di segnare. Cole fronteggia ancora un difensore. Non ce la può fare a passare. Non è semplicemente possibile. Allora Cole estrae una pistola e spara negli occhi del suo avversario, poi alla spalla di un altro e alla rotula di un terzo. Il pubblico urla terrorizzato. Cole arriva nell’area di meta, poggia il ginocchio e la palla a terra, guardando la polizia che sta sopraggiungendo. Con lentezza si toglie il casco e si punta la pistola alla tempia. «La vita è una merda» Poi si fa saltare via il cervello.
– scena tratta da L’Ultimo Boyscout –
Nei film scritti (o diretti) da Shane Black, le aperture sono importanti. Di solito iniziano in medias res, con un’apertura altamente drammatica che termina, quasi sempre, molto male. La ragazza suicida del primo Arma Letale, il rito per distruggere Dracula di Scuola di Mostri, lo Squartatore sul tetto di Last Action Hero, il trucco magico di Kiss Kiss Bang Bang, le armature che esplodono di Iron Man 3, il misterioso suicidio-omicidio di Misty Mountains in The Nice Guys. In sostanza, la prima regola è: iniziare con il botto.
La coppia di amici-nemici
Siamo nel parcheggio di una stazione di polizia. L’ambiente è scuro e solo una lama di luce, come una specie di freccia, illumina i due protagonisti che stanno venendo verso di noi, diretti alla loro auto di servizio.
Roger: «Ho letto che sei anche un esperto di arti marziali. Tai-Chi e altre cosette che ammazzano. Ti dovremmo registrare sotto la voce “arma letale”…».
Martin: «Senti, basta con le stronzate adesso. Lo sai anche tu perché sono stato trasferito, dicono che sono un maniaco suicida e nessuno vuole lavorare con me, quindi sono fottuto. O credono che ci marcio per avere la pensione e nessuno vuole lavorare con me, quindi sono fottuto lo stesso. Sono fottuto comunque!».
Roger: «Sai che ti dico?».
Martin: «Cosa?».
Roger: «Io non voglio lavorare con te».
Martin: «Come non detto».
Roger: «Solo che non ho scelta. E quindi siamo fottuti tutti e due!».
Martin: «Bene!».
– scena tratta da Arma Letale –
Non c’è un film di Black in cui l’amicizia tra due persone molto differenti ma ugualmente toste, non sia al centro della storia. Così la pensa Black al riguardo di questo aspetto della sua poetica: «È una questione di salvezza e dei legami che servono per sopravvivere in un mondo molto duro. C’è un’espressione che si usa negli Alcolisti Anonimi e che dice: “Vieni a lasciarti amare fino a quando non saprai amare te stesso” e credo sia proprio questo il nocciolo di molte delle mie storie. Sono cresciuto leggendo libri per bambini che parlano di bellissime amicizie, come ad esempio La Tela di Carlotta, o anche The Cricket in Times Square. Libri che parlano di topi, di maiali e di ragni, ma in fondo non sono altro che Arma Letale».
Natale
La camera da presa si muove piano nella casa, svelandoci lentamente i pacchetti avvolti nella carta natalizia e gli addobbi dell’albero. In sovraimpressione, le immagini di una pistola che viene montata e puntata. Poi c’è uno stacco e siamo in una piccola, deliziosa, cittadina di provincia. Le strade sono innevate e risuonano le note di “Santa Claus Back in Town” di Elvis Presley.
– scena tratta da Spy – The Long Kiss Goodnight –
La maggior parte dei film di Black è ambientata durante il periodo delle feste natalizie. La ragione la spiega direttamente lui: «Durante le feste i sentimenti sono più vivi e la gente è più in contatto con il suo lato emotivo. Inoltre, la maggior parte dei miei film è ambientata a Los Angeles e quel contrasto tra una festa così intimamente invernale e lo scenario assolato della California, dona alla storia un contesto surreale».
Le torture
Il magazzino di un ospedale. Le pareti sono verdino e giallo malattia. Harry Lockhart, un piccolo ladro scalcagnato e “Gay” Perry van Shrike sono in un laboratorio, catturati e legati su delle sedie a rotelle. Harry ha i pantaloni calati e due elettrodi collegati allo scroto. Perry indossa una incongruente tuta da ginnastica di ciniglia, color blu cobalto. Un cattivone sta spruzzando con una pistola ad acqua il povero Harry, per rendere più efficaci le torture a base di corrente elettrica che sta per infliggergli. Perry, nel frattempo, parla, insultando il bastardo e mettendo in dubbio la sua virilità. Più il torturatore si arrabbia, più alza il voltaggio alle palle del povero Harry, che nel frattempo urla per il dolore. È a quel punto che Perry infila una mano nei pantaloni e spara attraverso la stoffa al villain, uccidendolo. Poi Perry estrae la pistola e si volta sorridente verso Harry, mostrandogliela. Perry: «Gli omofobi non controllano mai il cavallo». Harry: «Grazie a Dio avevi una pistola nei pantaloni! Credevo che fosse una cosa di voi gay… che aveste questa capacità…».
– scena tratta da Kiss Kiss Bang Bang –
Nella quasi totalità delle pellicole di Shane Black c’è una scena di tortura ai danni del protagonista. Pensate al Martin Riggs elettrificato nel primo Arma Letale, al pestaggio di Joe Hallenbeck (ma almeno gli offrono da fumare) in L’Ultimo Boyscout, alla Samantha Caine seminuda appesa alla ruota del mulino e immersa nell’acqua gelata in The Long Kiss Goodnight, e potrei continuare ancora a lungo. Questo tipo di sequenze sottolineano come i protagonisti di Black, per quanto problematici, bizzarri e sempre male in arnese, racchiudano in loro un profondo stoicismo che li rende dei martiri tremendamente sexy. Tra il corpo in croce di Gesù, quello trafitto di San Sebastiano e le anatomie nude, tese e bagnate di Mel Gibson e Geena Davis, non c’è molta differenza. Inoltre queste scene fanno sempre da preambolo alla spettacolare fuga e al riscatto dei protagonisti. È il momento in cui nei film di Black suona la campana della riscossa e gli spettatori si esaltano. Verrebbe quasi da definirlo un mezzuccio, un trucchetto facile e abusato, se non fosse che funziona ogni-dannatissima-volta.
Bambini
La stanza da letto di un matrimonio in crisi. Le luci sono quelle tagliate e soffuse del fratello più duro della famiglia Scott. Particelle di polvere nell’aria. Joe Hallenbeck è sfatto come il letto su cui si è seduto. La moglie, in vestaglia di seta, gli parla della figlia comune. Joe si preoccupa per lei. Joe: «I ragazzi la sfottono sempre per l’apparecchio?». Moglie: «No, fi gurati, adesso la chiamano Bocca di Ferro… Che mascalzoni». Joe: «Se li farà tutti prima di arrivare a quattordici anni…». Moglie: «Non parlare in questo modo, Joe!». Joe: «E tu, allora? La fai andare in giro truccata che sembra un panda! Quando arrivo a casa la scambio per un ladro… Una volta stavo per spararle!». Moglie: «Non sei spiritoso e poi si truccano tutte le ragazze della scuola!». Joe: «Sì, ma non credo che tutte le ragazze della scuola si trucchino con la pistola a spruzzo…».
– scena tratta da L’Ultimo Boyscout –
A cominciare da Scuola di Mostri i ragazzini hanno sempre avuto un ruolo importante nelle storie di Black che tende a inserirli anche in film dove la loro presenza non è così strettamente necessaria (pensate a Iron Man 3). È lui stesso a dirlo: «A me piacciono i ragazzini che si comportano da adulti. Spesso in maniera più matura degli adulti che gli metto accanto. Quando ero piccolo apprezzavo il fatto di essere preso sul serio, e che mi lasciassero entrare nel mondo dei grandi. Non mi piacevano gli show televisivi che mi trattavano come un bambino. C’erano degli orari dedicati alla famiglia sulla Tv americana, all’epoca, durante i quali non si potevano dire certe cose, non si poteva fare questo o quello. Non si poteva neanche prendere uno a pugni, lo dovevi sollevare e buttare in piscina! Proprio come accadeva in L’Uomo da sei milioni di dollari. Io ero un bambino ma sapevo che sarebbe stato molto meglio dare un cazzotto… O sparare!».
Gli elementi surreali
«Dagli un calcio nelle palle!». «Ma non ce l’ha le palle!». «Tu daglielo!» A quel punto il bambino grasso somministra un sonoro calcione nelle palle all’Uomo Lupo che sta per sbranarlo, che si accascia a terra uggiolando di dolore. «Allora anche il lupo mannaro ha le palle!»
– scena tratta da Scuola di Mostri –
Joe Hallenbeck che spara ai cattivi attraverso la bocca del peluche Tombolino, la pletora di assurdi personaggi (tra cui Elvis e Licoln) che entra nella stanza d’ospedale di Harry Lockhart, lo scagnozzo ucciso dal cono gelato, Richard Nixon e la gigantesca ape assassina e tabagista che appaiono a Holland March in una delle sue tante visioni di alcolizzato cronico… Di queste e di altre immagini del genere è zeppo il cinema di Shane Black. Un registro dell’assurdo che corre attraverso ogni sua pellicola, sabotandone (volontariamente) la credibilità. Perché se è vero che Shane Black guarda con ammirazione al genere hard boiled e al western (per lui vero patrimonio ed eredità da tutelare del cinema made in USA), è anche vero che quei generi si diverte a sovvertirli, filtrandoli attraverso elementi grotteschi e lisergici.
La violenza
Una stanza bianca. Una piscina. Riflessi azzurrini. Joe Hallenbeck ha appena avuto un brutto risveglio a suon di cazzotti da parte di un brutto tipo davanti a lui. Ma Joe è uno che non si scompone e chiede da fumare. Lo scagnozzo gli offre una sigaretta ma quando sta per far accendere Joe, lo colpisce invece con un altro pugno al volto. La sigaretta cade in terra. Joe ne chiede una seconda e poi di nuovo da accendere. Questa volta, però, avverte il brutto ceffo davanti a lui: «Ma mi deve fare accendere. E ti ammazzo se mi tocchi». Il bruto non gli dà ascolto e molla a Joe un terzo colpo. A quel punto Hallenbeck schizza in piedi e con il palmo della mano colpisce la base del naso del suo aguzzino. L’osso si rompe e penetra nel cervello del cattivaccio, che cade a terra morto come la disco-music. Poi Joe sputa un grumo di sangue e sgrana gli occhi: «Te lo avevo detto». E questo è niente rispetto a quello che combinano Martin Riggs e Jack Slater.
– scena tratta da L’Ultimo Boyscout –
La violenza nei film di Black è sempre estrema e parossistica. I buoni ammazzano come (e spesso di più) dei cattivi perché proprio come i cattivi sono uomini violenti. L’unica differenza sostanziale è che se i malvagi lo fanno senza rimorso, gli eroi sono invece generalmente rosi dai sensi di colpa e avvolti in delle spirali di autodistruzione a causa di essi (non a caso quasi tutti i protagonisti di Shane Black sono alcolisti, ex-alcolisti, futuri alcolisti… o aspiranti suicidi). L’unica redenzione dalla violenza sembra passare attraverso una giusta causa, o per mezzo dello sguardo dei bambini (come succede in Iron Man 3 e The Nice Guys).
Gli eroi
Campo lungo su una assolata strada californiana. Il nostro eroe si allontana da una casa dove ha appena picchiato sul naso un uomo reo di essersi dato da fare con una ragazzina. «Non ho una qualifica professionale. Non mi troverete sulle pagine gialle… Ma se avete un problema con qualcuno, se qualcuno dovesse fare lo stronzo con vostra figlia tredicenne, potete rivolgervi a me: Jackson Healy».
– scena tratta da The Nice Guys –
Che siano poliziotti con regolare distintivo, private eye alcolizzati, furfanti di infima categoria, assassini smemorati o supereroi, gli eroi di Black sono tutti cavalieri della valle solitaria. Magari la loro armatura non è più tanto lucida e risulta ammaccata in più punti, ma il loro cuore batte sempre dalla parte giusta e, quando verrà il momento decisivo, faranno quello che devono fare, fregandosene delle conseguenze personali. Proprio come il Philippe Marlowe di Chandler che dei personaggi di Black è il progenitore principale. Perché ricordatevi che il cielo è azzurro, l’acqua bagnata e i predatori sono sempre in agguato e sempre più forti. L’unico motto possibile è “Sii sempre pronto!”.
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