Al numero 1 tra i film più visti questa settimana su Netflix c’è Damsel, una moderna fiaba dark fantasy che sembra aver decisamente convinto il pubblico, finendo però col dividere i giudizi della critica internazionale. Su Rotten Tomatoes, infatti, l’opera diretta da Juan Carlos Fresnadillo manca la sufficienza per un soffio, mentre diversi critici hanno liquidato trama e intreccio come eccessivamente infantili e solo superficialmente impegnati sul tema dell’empowerment.
Ma andiamo per gradi (e avvertiamo subito i lettori, prima di proseguire, che questo articolo conterrà inevitabilmente degli spoiler). Il titolo Damsel in lingua inglese significa proprio damigella, donzella, appellativo che nella tradizionale struttura della fiaba spettava a personaggi femminili con determinate caratteristiche. Sarà quindi la stessa voce di Millie Bobby Brown in voice over a introdurre questa storia con un avvertimento fondamentale. In questo caso, non ci sarà una donzella che chiede di essere salvata da un principe o un eroe senza macchia e senza paura. Al contrario, sarà lei stessa l’artefice della propria salvezza. Più oltre, il film ambisce a introdurre nella classica morfologia della fiaba anche l’elemento della sisterhood, altrimenti detta sorellanza. E da questo punto di vista il film Netflix ci è sembrato molto meno infantile e superficiale di quanto avrebbe potuto essere.
Premesso che Damsel si rivolge essenzialmente a un target giovanile, resta interessante notare come gli autori abbiano saputo inserire nella sceneggiatura un messaggio credibile e delle metafore certamente accessibili, ma non per questo meno efficaci. La premessa della storia è infatti che un piccolo reame, privo delle provviste necessarie ad affrontare l’inverno, non possa che accettare la proposta di un matrimonio combinato, quando arriva da aristocratici ben più ricchi e influenti. Il film ci ricorda così un tema che non appartiene solo alla dimensione fittizia delle favole. Rispetto al passato, complice forse la triste parabola della Principessa Diana, l’idea di sposare un perfetto sconosciuto, perché provvisto di un titolo reale, è stata decisamente deromanticizzata. Ma sarà bene ricordare che l’occidente non rappresenta che una piccola porzione di mondo, mentre anche nel 2024, in larghe aree del pianeta, molte ragazze anche giovanissime devono ancora sottostare al volere paterno, mentre il vincolo matrimoniale non rappresenta che una transazione economica, dove i loro corpi restano meramente merce di scambio. Da questo punto di vista, l’abisso dove Elodie, la protagonista interpretata da Mille Bobby Brown, viene lanciata dal suo sposo, sembrerebbe una metafora che rimanda a secoli e secoli di donne e bambine costrette a scoprire solo col tempo cosa sia la vita matrimoniale e chi sia davvero l’estraneo imposto loro come sposo.
Oltre a deromanticizzare l’idea del matrimonio combinato, Damsel resta poi molto credibile nel rappresentare la solidarietà istintiva tra donne anche sconosciute. Quando le servitrici vestono Elodie prima delle nozze, pur senza poter rivelare il rito sacrificale che l’attende, inseriscono tra le vesti due oggetti che si riveleranno essenziali per il suo tentativo di fuga: un coltello e una piccola lanterna appesa alla cintura. Quindi, una volta precipitata nell’antro del drago, la nostra eroina troverà incisi sulla pietra i nomi delle tante ragazze che l’hanno preceduta. Qualcuna ha perfino inciso una mappa che le consentirà di sfuggire a un destino che sembra ineluttabile. Ma il dato più interessante ci attende proprio sul finale. Rovesciando secoli di tradizione, infatti, l’eroina non ucciderà il drago. Piuttosto, intesserà con questa creatura un dialogo, spiegandole come siano entrambe vittime, preferendo allearsi e salvare questa mostruosa madre che sottomettersi alle logiche del potere e della violenza. Un chiaro esempio di parabola dalla prospettiva femminile, che non si limita a replicare gli schemi narrativi classici, cambiando semplicemente il genere di personaggi e protagonista, ma opera un rovesciamento di prospettiva anche nel pay-off.
Per quanto questa fiaba dark funzioni dunque secondo l’essenzialità degli archetipi, dividendo fin troppo chiaramente il bene e il male, il risultato si rivela quindi molto meno infantile e scontato di quanto molti vogliano sostenere. E tra tanti prodotti pink washed, prodotto di una moda che ora impone di evocare l’empowerment e il female power anche a sproposito, gli sceneggiatori di Damsel hanno svolto un lavoro egregio.
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